sabato 13 marzo 2010

LA SOLITUDINE (convergenza di neuroscienze, genetica e psicologia evolutiva).



Se pensiamo alla solitudine, I primi pensieri che ci vengono in mente sono pensieri negativi, di tristezza, di malinconia. Sembra che la solitudine sia sempre dentro di noi, noi ci sentiamo sempre soli, a volte di più altre di meno, e non riusciamo mai ed eliminarla del tutto. Perché? Anche quando siamo accerchiati da persone che ci vogliono bene ci sentiamo soldi e sentiamo ancora la mancanza di qualcosa. A volte però siamo proprio noi che cerchiamo la solitudine, lo stare da soli, quando abbiamo il desiderio di riflettere, di pensare a noi stessi, ai nostri comportamenti e ci facciamo delle domande su ciò che ci sta accadendo nella vita; quando siamo soli riusciamo a pensare senza essere condizionati dai pensieri di altri. Perché vediamo la solitudine come cosa negativa ma la cerchiamo? Il nostro essere quindi vuole rimanere da solo, ma sente il bisogno degli altri; cerchiamo la solitudine, ma poi non la vogliamo. Perché?
Giuliana




Cara Giuliana,

Avevo concluso il mio POST sul MALE e sul BENE (vedi: http://apiuvoci2.blogspot.com/2010/01/il-bene-e-il-male-rev-1.html), con la sintesi di un LIBRO “Solitudine. L'essere umano e il bisogno dell'altro” di Cacioppo John T., Patrick William:

“Essere soli è diverso dallo stare da soli o dal sentirsi soli. Il dolore cronico della solitudine è una ferita lacerante che può alterare il nostro equilibrio fisiologico. È un giogo che trasforma il bisogno insoddisfatto dell'altro in sensazioni, pensieri e comportamenti ostili. La solitudine non è una sensazione ineffabile, è qualcosa di ben radicato nella nostra biologia, che coinvolge il corpo in maniera totale, dalla circolazione del sangue alla trasmissione degli impulsi nervosi. Le immagini del cervello ottenute con le nuove tecniche di neurovisualizzazione mostrano che le sensazioni di emarginazione sociale e il dolore fisico condividono lo stesso meccanismo fisiologico. Ma per comprendere perché la solitudine ci fa soffrire bisogna scoprire il passaggio evolutivo dal gene egoista all'essere sociale. Perché Homo sapiens si è evoluto come specie superiore? John T. Cacioppo trova la soluzione nel "terzo adattamento": i fattori decisivi del successo riproduttivo dell'uomo si fondano sull'empatia, sulla cooperazione e sui legami sociali. Privarsi dello scambio con gli altri provoca uno strappo nel tessuto genetico che si espande nel nostro essere fino a pervadere le emozioni. In Solitudine, neuroscienze, genetica e psicologia evoluzionistica convergono, proponendo al lettore le acquisizioni più avanzate della ricerca per la diagnosi e la cura di una delle più diffuse malattie del nostro tempo. Dopo aver letto questo libro nessuno vorrà essere solo. E non lo sarà.”

In questo POST, aggiungo un articolo MOLTO ESPLICATIVO DEL PROBLEMA DELLA SOLITUDINE de “Il Sole-24 Ore” dedicato allo stesso libro:

Un'affollata solitudine.


“Se il direttore di uno zoo dovesse realizzare un recinto appropriato per la specie Homo sapiens , al primo posto nell'elenco dei punti importanti metterebbe «Animale necessariamente gregario», nel senso che non si può far vivere un membro della famiglia umana in isolamento, non più di quanto si possa far vivere un membro di Aptenodytes forsteri , il pinguino imperatore, in un deserto di sabbia. Sarebbe privo di senso inserire una creatura in un ambiente che forza fino a quel punto il suo guinzaglio genetico. Ciò malgrado,per circa cinque secoli –e a un ritmo molto più sostenuto negli ultimi cinquant'anni – le società occidentali hanno fatto retrocedere il gregarismo umano da una necessità a un fattore accessorio. Di fatto, i dati più recenti indicano che il numero delle persone che accettano una vita in cui sono fisicamente, e forse emotivamente, isolate
dagli altri è in crescita. Consideriamo i seguenti dati:
a) in uno studio delle scienze sociali del 2004, la percentuale dei soggetti che dichiaravano di non avere nessuno con cui discutere questioni importanti era triplicata rispetto a quella rilevata in uno studio del 1985;
b) nell'ultima ventina d'anni, negli Stati Uniti la dimensione media delle famiglie è diminuita all'incirca del 10%, raggiungendo il valore di 2,5 persone;
c) nel 1990, tra le famiglie con figli minorenni più di una su cinque comprendeva un sologenitore. Attualmente, le famiglie con un solo genitore sono quasi una su tre;
d) nel 2000 negli Stati Uniti le persone che vivevano completamente da sole, per il 36% ultrasessantacinquenni, erano più di 27 milioni. Secondo le proiezioni dell'U.S. Census Bureau, nel 2010 saranno 29 milioni –con un aumento di più del 30%dal 1980 –e in una percentuale enorme saranno ultrasessantacinquenni.
Poiché la struttura delle carriere, delle abitazioni e della mortalità e le olitiche sociali sono guidate dal capitalismo globale, gran parte del mondo sembra determinata ad adottare uno stile di vita che aggraverà e rafforzerà la sensazione cronica di isolamento che milioni di persone provano già, anche quando sono circondate da familiari e amici ben intenzionati. La contraddizione è che abbiamo modificato radicalmente l'ambiente, ma la nostra fisiologia è rimasta invariata. Per quanto ricche e tecnologicamente avanzate siano diventate le nostre società, sotto sotto siamo le stesse creature vulnerabili che si stringevano le une alle altre terrorizzate dai temporali 60mila anni or sono.
***
Come ogni altra caratteristica, la propensione genetica a desiderare le relazioni sociali e la tendenza a provare dolore sociale in situazioni di isolamento si trasmettono grazie alle informazioni genetiche contenute nelle nostre cellule, codificate come istruzioni per produrre proteine. L'espressione di questi geni dipende dalle circostanze ambientali, tanto quelle reali quanto quelle meramente percepite. Alcune delle proteine assumono la forma di ormoni che trasportano messaggi nel sangue. Questi messaggi servono a integrare diversi sistemi organici e a coordinare le risposte comportamentali.
Uno di questi ormoni è l'epinefrina, che ci può inondare di quell'insieme di sensazioni che chiamiamo eccitazione. Un'altra piccola proteina –l'ormone ossitocina –favorisce l'allattamento, la calma rasserenante e l'intimità stretta. Altre proteine geneticamente orchestrate danno origine a neurotrasmettitori quali la serotonina, che può migliorare il nostro umore oppure gettarci nella disperazione, a seconda della sua concentrazione nel cervello. I geni forniscono le carote e i bastoni chimici che guidano il comportamento, ma dipendono dai sistemi sensoriali per poter interagire realmente con l'ambiente. I segnali che i sensi ricevono dall'ambiente provocano cambiamenti della concentrazione e del flusso di questi ormoni e neurotrasmettitori. Queste sostanze chimiche agiscono come segnali interni per stimolare comportamenti specifici – ed è qui che le istruzioni genetiche alla fine si manifestano come differenze individuali nei livelli di ansia, di giovialità o di sensibilità alle sensazioni di isolamento sociale.
Nel corso della storia, gli individui con tendenze comportamentali meno bene adattate all'ambiente non sono sopravvissuti, oppure sono sopravvissuti solo marginalmente, o non abbastanza a lungo da generare lo stesso numero di figli degli individui con un adattamento migliore.
***
Tra gli esseri umani ancestrali, stringere legami con i membri del gruppo più ampio divenne la norma, ma per ragioni diverse a seconda del sesso. I legami offrivano alle femmine dei cacciatori-raccoglitori un vantaggio per la sopravvivenza: il gruppo significava sicurezza, ma anche poter condividere i doveri materni mentre ci si occupava di altre faccende necessarie. Anche tra i babbuini selvatici della savana africana, le differenze individuali nella capacità di formare relazioni intime con altre femmine hanno un effetto significativo sul tasso di sopravvivenza della prole (...). Tra i primi esseri umani di sesso maschi-le, gracili saprofagi armati solo di bastoni appuntiti, stringere legami per formare alleanze divenne la norma innanzitutto per i vantaggi politici che ne derivavano (peraltro il predominio politico offriva migliori opportunità di accoppiamento) e anche perché l'unione fa la forza. Ma il più grande vantaggio della connessione e della coordinazione sociale era forse la possibilità di ottenere grandi quantità di proteine concentrate (...).
Presumendo una variazione normale nel bisogno di relazioni sociali influenzato dai geni, si può immaginare che centomila anni or sono, poniamo, un maschio potesse avere un termostato sociale regolato su un livello tanto basso da potersi accaparrare il cibo senza provare vergogna, senso di colpa o dolore. Poteva andarsene a caccia per tre giorni, trovare il posto in cui giocavano le antilopi e non tornare mai indietro. Poteva ignorare l'assenza della sua famiglia,o l'idea che potessero morire di fame. Assuefatto alla solitudine come segnale di pericolo, cacciando per sfamare solo se stesso, forse si nutriva meglio dei maschi che riportavano cibo all'accampamento e contribuivano al bene di tutti.
Tuttavia, se i suoi figli non sopravvivevano abbastanza a lungo da maturare e riprodursi e nutrire i propri figli, non sopravvivevano nemmeno i suoi geni (anche qualora non fosse sopravvissuta la sua tribù, i suoi figli avrebbero avuto minori probabilità di sopravvivere).
I geni più vecchi e completamente egoisti continuarono a esistere, ma la loro influenza nella popolazione in generale si ridusse per il continuo calo riproduttivo. Il successo individuale ormai era guidato dalla capacità di trascendere l'egoismo e di agire nell'interesse di altri.Il gene egoista aveva dato origine a un cervello sociale e a un diverso tipo di animale sociale.”


Concludo, quindi, nel dire che il SOFFRIRE LA SOLITUDINE e IL CERCARE LA SOLITUDINE, è molto simile al prevalere del BENE e del MALE (ovvero dell'altruismo e dell'egoismo), che in questa fase evolutiva dell'umanità COESISTONO in ogni uomo, anche se in misura diversa, anche in funzione dell'emotività e dei sentimenti che variano nel tempo e nelle varie circostanze.

Un caro saluto
Alessandra

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