martedì 16 marzo 2010

I RICORDI. Io sono quello che sono perchè mi ricordo di cosa ho pensato.



Qualche anno fa ho litigato con un gruppo di amiche che pensavo mi avrebbero accompagnato per tutto il resto della mia vita, ma il tempo passa ed io, da parte mia, ho cercato di dimenticare, andando avanti con altre amicizie. Dimenticare non è per niente facile. Ad esempio, ieri sera ho ritrovato delle vecchie foto di queste amiche, le lacrime sono uscite incondizionatamente e le emozioni hanno preso il sopravvento sulla razionalità che mi diceva che ormai era passato.
Perché il dolore del passato ci tormenta anche spesso e ben volentieri nel presente? C'è una soluzione alla paura di dimenticare o al dolore del ricordare?
Maria Grazia

Cara Maria Grazia,

L’austriaco-americano Erich R. Kandel ha preso il premio Nobel 2000 per la Medicina e le neuroscienze per i suoi studi sulla memoria e sull’apprendimento. Grazie a lui, oggi, sappiamo che i meccanismi della memoria sono legati a complessi sistemi di regolazione dell’attività cellulare, prevalentemente basati sulla fosforilazione delle proteine.
Nel cervello umano ci sono miliardi di cellule nervose che sono collegate tra loro grazie a una complessa rete di processi. Il messaggio viene inviato da una cellula nervosa all’altra grazie a trasmettitori chimici e la "comunicazione" avviene in specifici punti di contatto chiamati sinapsi. Eric Kandel ha puntato le sue ricerche pionieristiche sulla trasmissione sinaptica lenta, che è un tipo particolare di trasmissione di segnali tra le cellule nervose, dando la possibilità di mettere a punto nuovi farmaci. Ma soprattutto, le sue ricerche sulla plasticità sinaptica hanno individuato i meccanismi cellulari, molecolari e genetici della memoria.
I neuroni, in certe situazioni, possono mutare le sinapsi : questo dimostra la loro plasticità.
Quando apprendiamo e memorizziamo un comportamento, un evento, un testo, ne imprimiamo le tracce in una zona specifica del nostro cervello. La tesi di Kandel è stata che la memoria sia il risultato di micro-modificazioni fisiche delle sinapsi. La difficoltà della ricerca era quella di percepire tali cambiamenti infinitesimali tra i miliardi di sinapsi che compongono il cervello umano.

Da qui la sua intuizione di studiare l’Aplysia californica, la lumaca marina dell’isola di Catalina.
I neuroni dell’Aplysia sono simili ai nostri e i segnali elettrici che i suoi neuroni si inviano tra loro, assolutamente identici a quelli dell’uomo. Anche se il gasteropodo in questione ha un sistema nervoso composto di soli ventimila neuroni, contro gli 11-100 miliardi del cervello umano. Grazie ai suoi esperimenti con l’Aplysia, ha capito che un semplice riflesso di retrazione del suo organo respiratorio (branchia e sifone) può venire modificato in due modi: per abitudine o sensibilizzazione. Inoltre ha provato che questi riflessi comportamentali alla stimolazione sono provocati dalla plasticità della sinapsi: dunque, che la memoria nasce nella sinapsi.
Oggi, abbiamo la consapevolezza che all’interno del neurone sensoriale si attiva un gene, detto CREB, il quale determina la sintesi di proteine che modifica in modo più o meno persistente la sinapsi generando le due possibili forme della memoria: una transitoria a breve termine, ed una duratura o a lungo termine. Ciò ha confermato la sua teoria che la memoria avesse una spiegazione organica.


Eric kandel afferma che la memoria è fondamentale nei processi mentali e nell’approccio psicoanalitico, perché noi siamo chi siamo soprattutto grazie a quello che ricordiamo della nostra vita.


Neanche la persona più algida e imperturbabile ne è immune. Sogni e ricordi sono l’unico laccio tenace che ci tiene stretti al futuro e al passato: i mattoni portanti della nostra vita. Cosa sarebbe l’esistenza senza l’eccitante propulsione del sogno e del desiderio e senza l’educativo bagaglio della memoria? Il mosaico di noi stessi si è autocostruito con le preziose tessere dei ricordi che disegnano il DNA del nostro vissuto, del nostro carattere, del nostro comportamento. L’io-uomo è quello che ha imparato ad essere con l’apprendimento, con l’interesse, con lo stimolo che la "memoria" ha metabolizzato in una personalità unica e distinta da tutte le altre. Un profumo, un sapore, una musica, una voce, possono riaccendere istantaneamente il bambino che siamo stati, l’adolescente, l’adulto, nella sequenza filmica del nostro passato. Possono tuffarci nelle pieghe stratificate dei ricordi con sensazioni analoghe, senza soluzione di continuità, azzerando il tempo. Lo stesso stimolo scatena il riflesso condizionato della stessa emozione, confermando la nostra identità innata e quella costruita. Questa è la memoria. La memoria sensoriale. La memoria che rievoca e rinsalda. La memoria che fa di noi quello che siamo.

Ma la memoria, oltre che emotiva, è anche funzionale. Si distingue così una memoria associata all’apprendimento e alla rievocazione di informazioni (memoria dichiarativa) da una memoria di azioni (memoria procedurale) che consiste nel saper fare una determinata cosa per averla già fatta altre volte. Dal punto di vista scientifico, le classificazioni più accreditate concordano nel suddividere la memoria in: sensoriale, cioè il processo percettivo in cui le informazioni provenienti dagli organi di senso vengono riconosciute; a breve termine, che trattiene un numero limitato di informazioni per un breve periodo di tempo (pochi secondi) e comporta l’ attivazione elettrica di alcuni neuroni , senza modificazioni durature; a lungo termine, grazie alla quale le informazioni vengono trattenute per un periodo di tempo più lungo. Poi, parte delle informazioni si perde, parte si conferma e diviene memoria permanente. Segue così una fase di consolidamento con la quale l’informazione memorizzata diventa resistente all’oblio e all’interferenza con altre informazioni. La memoria a lungo termine implica la creazione di nuove connessioni tra i neuroni del cervello, grazie all’attivazione della produzione di Rna e specifiche proteine. Esiste poi la cosiddetta - memoria emotiva -, identificabile con l’inconscio, in cui restano incise le esperienze "preferite" dalla nostra mente che ha una capacità selettiva in grado di evitare il peso di informazioni inutili. La memoria del linguaggio, grazie alla quale ricordiamo vocaboli e regole grammaticali che permettono di esprimerci correttamente e di comunicare. E ancora, la memoria dell’ambiente e della società: il lavoro, la famiglia, i rapporti con gli altri. La memoria, pur essendo un processo dinamico, può identificarsi come una sorta di archivio dove i ricordi vengono in qualche modo messi in ordine e classificati. La "chiave" con cui l’informazione viene collocata sarà anche quella che permetterà di accedere all’archivio al momento del recupero dell’informazione.

Joseph LeDoux, a capo di un gruppo di ricercatori del Centro per le Scienze Neurologiche di New York ha recentemente messo a punto un farmaco capace di eliminare in modo selettivo alcuni ricordi dalla memoria dei ratti, lasciando integri gli altri; ovvero sono riusciti a intervenire sul meccanismo che, regolando il trasferimento dei ricordi dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, dà vita ai ricordi permanenti. Questo processo, noto come riconsolidamento, può essere alterato o interrotto con opportuni farmaci, evitando in modo selettivo la formazione di alcuni specifici ricordi, senza modificare gli altri. I ricercatori hanno indotto alcuni ratti ad avere paura di due differenti suoni facendoglieli sentire mentre veniva loro inflitta una scarica elettrica. Hanno poi somministrato a metà degli animali l’U0126, un composto chimico noto per provocare amnesie, mentre facevano sentire ai topolini di nuovo i suoni, nel tentativo di far riaffiorare il ricordo spiacevole. Il giorno dopo, sono stati fatti ascoltare gli stessi rumori ai topolini, ma quelli trattati con l’U0126 sembravano non avere più “memoria” di quella paura, mentre gli altri associavano il rumore allo sgradevole ricordo della scossa elettrica. Secondo i ricercatori, il timore del suono (e quindi dell’esperienza negativa) non si è consolidato nella memoria permanente dei ratti “curati” con l’U0126.

Secondo LeDoux in questo processo gioca un ruolo fondamentale l’amigdala: è una zona del cervello in cui, durante la formazione di un ricordo spiacevole, si può notare un consistente incremento delle comunicazioni tra i neuroni. Nei ratti trattati con il farmaco il numero di queste connessioni neuronali era molto ridotto: questo indica una vera e propria cancellazione della memoria dolorosa.
La ricerca del team americano non è comunque la prima nel suo genere: già nel 2004 un gruppo di scienziati di Cambridge aveva ipotizzato di poter alterare il processo di riconsolidamento dei ricordi per intervenire alla radice su problemi come le dipendenze da droga e alcol, le fobie ricorrenti e le sindromi da stress. Secondo i ricercatori britannici la memoria subisce un riconsolidamento ogni volta che vengono fatte affiorare i ricordi, come in un file che viene aperto e poi salvato. Grazie a opportuni farmaci dovrebbe essere possibile interrompere questo processo, impedendo il “salvataggio del file” e cancellando così il ricordo spiacevole.
È evidente come questo tipo di ricerca apra il dibattito su numerosi problemi etici: se la parte più psicologica dell’essere umano è anche il frutto delle esperienze, la cancellazione selettiva dei ricordi spiacevoli non rischia forse di trasformarci in automi sorridenti, incapaci di apprendere dagli avvenimenti negativi e quindi di migliorare? Quanto potrebbe sopravvivere l’uomo senza la difesa offerta dalle paure? Contro questo tipo di studi si è apertamente schierato anche il Comitato di Bioetica della Casa Bianca, secondo il quale modificare il contenuto della nostra memoria equivale a modificare la nostra personalità.
I fautori del “lifting” chimico, capaci di farci vivere, almeno in teoria, più felici e meno stressati sono comunque numerosi. Roger Pitman, psichiatra di Harvard, sostiene che la cancellazione della memoria sia addirittura doverosa in tutti quei casi come gli attentati terroristici, gli stupri e gli incidenti, che rischiano di condizionare per tutta la vita l’emotività e la serenità di chi li subisce.

Un caro saluto
Alessandra

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