lunedì 26 luglio 2010

Il vero senso del messaggio evangelico.


Lc 10,25-37
In quel tempo, un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?».
Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso» .


Innanzi tutto, occorre fare una premessa e rispondere a una domanda di base, dal punto di vista delle neuroscienze e non della metafisica ellenistica:

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO. Si può comandare l’amore?


Per rispondere alla domanda “Se l’amore è un sentimento, come può essere un comandamento?”, prendiamo spunto dalla relazione di PIERO STEFANI, (In un convegno a Milano, organizzato da Biblia, il 13 novembre 2005). Il relatore ci ricorda che «Ama il prossimo come te stesso» (Lv 19,18) era già presente nel vecchio testamento. Nel precetto del Levitico, però, il verbo amare REGGE ECCEZIONALMENTE IL DATIVO. Ciò avviene perché ha a che fare con l'operatività. Il comandamento, infatti, significa: AGISCI amorosamente verso il tuo prossimo. Se traduciamo, allora, il comandamento come AGISCI caritatevolmente, lo collochiamo nell’ambito del LIBERO ARBITRIO, della VOLONTA’ e quindi della RAGIONE. Con questa interpretazione non vi è l’alibi di non riuscire, a volte, ad amare il prossimo. Con la ragione puoi importi di rispettare la legge umana o divina (ovvero agire caritatevolmente), anche se i tuoi sentimenti irrazionali inconsci sono momentaneamente contrari (come nel racconto di Dostoevskij, quando Ivan Karamazov, l’intellettuale tormentato e ateo, confessa al fratello Alioscia, novizio in un monastero ortodosso, la sua incapacità di amare il prossimo: "Devo confessarti una cosa. Io non ho mai potuto capire come si possano amare i nostri prossimi. Secondo me sono proprio i prossimi che non si possono amare; gli altri, i lontani, forse sì, si possono amare. Per amare una persona, occorre che essa si nasconda, perché appena fa vedere il suo vero viso, l’amore scompare").

Gesù, in questo passo del vangelo, ha cambiato radicalmente il concetto di “prossimo”. Prossimo, nel mondo ebraico, era colui a cui era indirizzata la carità. Ebbene, per Gesù, prossimo è colui che ha compassione e che traduce in azioni caritatevoli questa compassione; quindi prossimo non è colui al quale dirigo la mia carità, ma sono io.
E l’evangelista Luca lo presenta nella parabola molto conosciuta e molto amata del Samaritano.
Vediamola. “Un dottore della legge”, cioè un esperto, negli altri vangeli si chiamano scribi, sono i teologi ufficiali del magistero di Israele, “si alzò per ...”, non è per metterlo alla prova, ma “per tentare Gesù”. Il verbo è lo stesso che l’evangelista ha adoperato per le tentazioni di Gesù da parte del diavolo nel deserto.
Quindi il grande difensore della legge, in realtà per l’evangelista, non è altro che uno strumento del diavolo.
E gli chiede: “«Maestro»”, ecco la falsità tipica delle persone religiose, lui non vuole apprendere, lui vuole condannare, vuole mettere una trappola a Gesù. E chiede cosa deve fare per avere la vita eterna. Gesù gli risponde in maniera molto distaccata, molto ironica. Immaginiamo che questa persona è una che ha dedicato tutta l’esistenza alla conoscenza, alla lettura e all’interpretazione della sacra scrittura. E gli chiede “«Che cosa sta scritto nella legge»”, e poi, soprattutto, «Che cosa vi leggi?»”, cioè che cosa capisci?
Perché non basta leggere la Bibbia, bisogna anche capirla. Se non si mette come primo valore il bene dell’uomo, la Bibbia può essere letta, riletta, predicata, annunziata, ma non si capirà. Il dottore della legge risponde con quello che era il credo di Israele, tratto dal Libro del Deuteronomio, cap. 6, e ci aggiunge il precetto del Levitico. Quindi all’amore a Dio con tutta l’anima, un amore assoluto, la carità per il prossimo che è relativo, “«come te stesso»”.
E Gesù dice “«Hai risposto bene; fa questo è vivrai. Ma quello, volendo giustificarsi …»”. Perché giustificarsi? All’epoca di Gesù c’era un grande dibattito tra le scuole rabbiniche su chi fosse il prossimo. Si andava dalla concezione più ristretta, “il prossimo è soltanto colui che appartiene al mio clan familiare o alla mia tribù”, a quella più larga che includeva nel prossimo anche lo straniero che abitava dentro i confini di Israele.
E quindi il fatto che voglia giustificarsi significa che questo dottore della legge è per l’interpretazione più restrittiva. Ed ecco stupenda la parabola di Gesù. “«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico»”, da 800 e più metri d’altezza sul livello del mare, Gerico è a 258 metri sotto il livello del mare, in pochi chilometri; è un percorso difficile, disagiato e un luogo pericoloso.
L’uomo cade in mano ai banditi che lo lasciarono moribondo. In quella strada, in quelle condizioni la morte è certa, a meno che non capiti provvidenzialmente qualcuno. Infatti, provvidenzialmente – questo che qui è tradotto con ‘per caso’, significa fortunatamente e Gesù aumenta l’attenzione nei suoi ascoltatori – “«Un sacerdote scendeva»”, è importante l’indicazione che sta scendendo. Gerusalemme era la città dove c’era il tempio e Gerico una città sacerdotale.
I sacerdoti salivano a Gerusalemme per entrare in servizio presso in tempio e per una settimana dovevano essere pienamente puri per officiare di fronte al Signore, quindi non abbiamo qui un sacerdote che sale a Gerusalemme, ma che scende. E’ stato a contatto con il Signore per una settimana. E’ pienamente puro; meglio non poteva capitare.
“«Scendeva per quella medesima strada e quando lo vide … »”, la salvezza è imminente. Ed ecco la doccia fredda, “«Passò oltre»”. Perché? E’ insensibile? E’ disumano? No, peggio: è una persona religiosa, e secondo la sua religione, la sua legge, il libro del Levitico e dei Numeri gli impedivano di toccare un morto. A lui, che era sacerdote, impedivano di toccare anche il cadavere dei propri genitori.
Quello che Gesù sta mettendo in questione è una faccenda molto seria. La legge va osservata anche quando è causa di sofferenza per gli uomini? Quando c’è conflitto tra la legge divina e il bene dell’uomo, cosa si fa? Il sacerdote non ha dubbi: viene prima la legge divina e poi il bene dell’uomo. Ugualmente un levita, cioè gli addetti al culto.
E quindi per l’uomo, poveretto, non c’è più nessuna speranza. Non solo non c’è nessuna speranza, ma cosa succede? “«Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide»”, i Samaritani erano nemici dei giudei. Ogni volta che si incontrarono c’era la lite ci scappava il morto. Qui,» figuriamoci, c’è un Samaritano che vede un suo nemico mezzo morto, cosa farà? Lo accopperà.
“«Lo vide»”, ed ecco, clamoroso, “«ne ebbe compassione»”. Il verbo ‘avere compassione’ è un verbo tecnico che indica un’azione divina con la quale il Signore restituisce vita a chi non ce l’ha. Si distingue tra ‘avere compassione’, azione divina, e ‘avere misericordia’, azione umana.
Avere compassione in questo Vangelo appare tre volte, quando Gesù vede il figlio morto della vedova di Nain, ne ebbe compassione e lo risuscita, quando il Padre del figliol prodigo vede il figlio ne ha compassione e gli restituisce la vita. Ebbene l’unico personaggio al quale viene attribuita un’azione divina è proprio quello è considerato il più lontano da Dio, un nemico di Dio, un rivale di Dio.
Gesù sta rispondendo alla domanda “chi è il credente”? E’ colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi o colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo? La risposta è molto chiara.
“«Lo vide. Gli si fece vicino»”, se ne prende cura in maniera addirittura esagerata, si fa servo di quest’uomo. Ed ecco la domanda finale di Gesù al dottore della legge. “«Chi di questi tre»” – allora abbiamo un sacerdote, un levita e un Samaritano – “«ti sembra sia stato prossimo?»”
Lui aveva chiesto “Chi è il mio prossimo?” Invece Gesù, capovolge la domanda e gli chiede “chi sia stato prossimo”. Questo voluto capovolgimento di domanda indica che l’importante non è amare il prossimo (o averne carità), ma capire cosa fare per diventare prossimo per chi ne ha bisogno.
E quando lo scriba rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: “«Va e anche tu fai così»”. E ancora una volta, Cristo ribadisce, in modo lapalissiano, che si tratta di fare azioni concrete e non solo di provare sentimenti, senza conseguenze pratiche per chi ne ha bisogno.


La riprova di questa interpretazione sta nel passo del vangelo di Matteo, 25,
in cui si ribadisce che anche il NON AGIRE con carità, è GRAVE PECCATO:

31 "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, allora siederà sul suo trono di gloria.
32 E tutte le nazioni saranno convocate davanti a lui. Separerà le persone come un pastore separa le pecore dalle capre,
33 e metterà le pecore alla sua destra e le capre alla sua sinistra.
34 "Poi il Re dirà a quelli della sua destra: "Venite, benedetti da mio Padre, entrate nel Regno preparato per voi fin dall'inizio del mondo.
35 Perché avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell'acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa,
36 ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato ed in prigione e siete venuti a trovarmi!"
37 "Queste persone giuste risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere?
38 Quando mai eri straniero e ti abbiamo aiutato? O eri nudo e ti abbiamo dato degli abiti?
39 E quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?"
40 "Ed il Re risponderà loro: "Quando lo avete fatto anche per l'ultimo di questi miei fratelli, lo avete fatto per me!"
41 "Poi dirà ai malvagi alla sua sinistra: "Andatevene, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli;
42 perché avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere,
43 ero straniero e non mi avete dato ospitalità, ero nudo e non mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e non siete mai venuti a farmi visita!"
44 "Allora quelli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, straniero o nudo, malato o in prigione, e non ti abbiamo aiutato?"
45 "Ed egli risponderà: "Tutto quello che non avete fatto per aiutare anche l'ultimo di questi miei fratelli, non l'avete fatto neanche per me!"
46 "E questi se ne andranno nella punizione eterna, mentre i giusti entreranno nella vita eterna".

In conclusione, Cristo non solo ha sottolineato la corretta interpretazione del passo del LEVITICO "AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO", come AZIONE VERSO I BISOGNOSI e non come SENTIMENTO; ma ha capovolto il CONCETTO DI PROSSIMO. Il prossimo siamo NOI e dobbiamo divertarlo giorno, per giorno, nei confronti dei nostri fratelli più bisognosi.

Purtroppo, nel vangelo di San Giovanni (scritto intorno all'anno 100, e quindi quando l'apostolo Giovanni doveva avere teoricamente circa 90 anni; ed intriso di filosofia gnostica di quel tempo), il concetto precedente esposto, in modo così chiaro, viene travisato e si attribuiscono a Cristo le parole "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amate gli uni gli altri". In realtà Cristo non aveva nemmeno pronunciato l'equivalente "Ama il prossimo tuo come te stesso", perchè questa frase del levitico l'aveva pronunciato lo SCRIBA; e Cristo ne aveva corretto il significato. Cristo non poteva affermare una stupidaggine simile, in quanto i sentimenti non si possono comandare.

La cosa grave è che il concilio di Nicea, voluto politicamente dall'Imperatore Costantino per unificare le tante interpretazioni del vangelo, scelse ERRONEAMENTE come canonici i tre vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) e il vangelo (detto di San Giovanni) che non si limitava a raccontare gli episodi, ma li voleva interpretare alla luce della filosofia gnostica di quel tempo (spesso travisandoli). Quando circa sessantanni dopo Sant'Agostino (Plotiniano, neoplatonico) si convertì al cristianesimo, trovò la sua metafisica molto più congeniale con il vangelo di San Giovanni, e su questo, più che sugli altri tre vangeli sinottici, fondò la sua teologia. Il danno irreparabile arriva fino ai nostri giorni; e nemmeno la dottrina di San Tommaso d'Aquino (metafisico aristotelico) cambia la situazione.