giovedì 27 maggio 2010

Il Vaticano critica la cellula artificiale «Prodotto umano, ma solo Dio crea vita»


Da un articolo sul Corriere della Sera del 26 Maggio 2010:

Zygmunt Zimowski: «Importante risultato scientifico.
Ma è improprio definirla atto creativo. Va monitorata»


«Solo Dio crea, l'uomo produce». Il Vaticano interviene nel dibattito che si è creato intorno alla notizia della cellula sintetica sviluppata da Craig Venter, il ricercatore statunitense da tempo in competizione con gli scienziati del Progetto genoma per arrivare al sequenziamento del Dna. E che ora ha sviluppato un Dna completamente sintetico. Come detto da lui e riportato su Science: «la prima cellula sintetica mai creata, totalmente derivata da un cromosoma sintetico, costruita con quattro bottiglie di composti chimici su un sintetizzatore a partire da informazioni elaborate al computer». Ma il Vaticano corregge: La cellula sintetica prodotta in laboratorio dall'équipe di Craig Venter, non può assolutamente essere definita come «creazione della vita». La cellula in questione è un prodotto tecnico dell'uomo. Si tratta di «biologia sintetica».

PRODOTTO UMANO - A prendere posizione è il Presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, mons. Zygmunt Zimowski, che ha rilasciato una dichiarazione in merito al dibatto che si è aperto in questi giorni alla Radio Vaticana. «Stando a quanto sinora reso pubblico in merito alla cosiddetta cellula sintetica - ha affermato Zimowski - si può certamente definirla un importante risultato tecnico della ricerca scientifica. E questo dobbiamo ammetterlo. È invece improprio, e vorrei ribadirlo, è improprio definire la realizzazione di questa cellula come un atto creativo o come la creazione della vita». «Non dobbiamo parlare di creazione: solo Dio crea, l'uomo produce. Questo è un prodotto umano, non una creazione. Si tratta, senza nulla togliere al valore dei ricercatori, di una modifica di quanto già esistente, dunque, di biologia sintetica».

L'IMPREVEDIBILE - La cellula sintetica, sostiene l'arcivescovo polacco, rilancia due questioni fondamentali: «Il cosiddetto rischio dell'imprevedibile, legato a novità di questo livello, e l'indissolubilità del binomio scienza-etica», dice mons. Zygmunt Zimowski. «Dobbiamo sempre rispettare il binomio scienza-etica e sarà, dunque, necessario che il proseguimento delle ricerche su tale cellula sia accuratamente monitorato». Quindi il rappresentante vaticano ha osservato: «Vorrei aggiungere ancora che - come è già avvenuto per il genoma umano con la costituzione dell'Elsi-Ethical, legal, and social issues - per il suo futuro impiego sarà necessario mettere a punto un apposito progetto parallelo che vada cioè di pari passo con il progredire della sperimentazione, valutandone l'impatto etico, legale e sociale».


RIFLESSIONI:
SINTETICO (significato) = Di prodotto ricavato artificialmente per sintesi.
Finora, nessun prodotto sintetico, di tipo animale, si autoriproduceva. Non solo: in questo caso i discendenti si potranno accoppiare con cellule non sintetiche e generare altri organismi.
E questi organismi come li definiremo? …..SEMISINTETICI, o sintetici al 30%, al 60%, al 90% ?
E se sostituiremo il DNA di un ovulo fecondato umano, con un DNA completamente sintetico, cosa otterremo? …Un UOMO sintetico, con minor diritti dei nostri, ma che si potrà accoppiare con donne non sintetiche? ……. Certo poi sorgerà il problema di stabilire se hanno un’anima o meno.
Qualche esponente del Vaticano, nella sua ingenuità, vorrebbe far nascere un nuovo tipo di RAZZISMO, ancora più pericoloso.
In ogni caso, è lapalissiano che questi tipi di esperimenti si faranno anche in Cina (hanno già realizzato ibridi di uomo e coniglio), senza che nessuna autorità internazionale potrà vietarli. Per cui è meglio accettarli e, semmai, preparare delle contromisure (tipo antivirus).


Alessandra

mercoledì 26 maggio 2010

Il lungo cammino per diventare homo - interessante apertura della Chiesa Cattolica



Sull'Avvenire del 23 Maggio 2010, quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, è stato pubblicato questo interessante articolo di FIORENZO FACCHINI, che conferma l'apertura della Chiesa Cattolica nei confronti dell'evoluzionismo.

Il desiderio di conoscere le origini e il passato dell’uomo non risponde solo a una curiosità di ordine scientifico. È chiamata in causa la nostra identità umana. Spesso i nuovi fossili sono annunciati come anelli di congiunzione, una espressione impropria, da abbandonare, perché l’evoluzione non è stata lineare. Oltre ai fossili assumono interesse le ricerche sul Dna antico e le comparazioni fra il Dna dello scimpanzé e quello dell’uomo. A livello biomolecolare le differenze tra il genoma umano e quello dello scimpanzé sono molto piccole (intorno all’1%). Ciò suggerisce che la linea evolutiva umana si sia differenziata da quella dello scimpanzè a partire da antenati comuni che vissero in territorio africano.

LA CULLA AFRICANA
Il problema diventa quello di individuare quando sia avvenuta la divergenza tra le due linee: antropomorfe (Panini, Gorilli) e Ominini (preumani e umani), ma la culla rimane l’Africa. Su questo concorda sia l’approccio paleoantropologico che quello biomolecolare. Attualmente la divergenza viene collocata intorno a 7 milioni di anni fa. Vicini alla divergenza, ma incamminati verso la linea umana, vengono considerati il Sahelantropo del Chad (6-7 milioni di anni fa) e l’Orrorin tugenensis del Kenya (6 milioni di anni fa) perché dimostrano tendenze evolutive verso il bipedismo che caratterizza la linea evolutiva umana e compare nelle forme preumane, gli Australopiteci, i quali peraltro praticavano anche l’arrampicamento. Tra questi una particolare importanza assumono l’Ardipiteco (4,4 milioni di anni fa) e l’Australopiteco afarense o Lucy (3,5 milioni di anni fa).

Homo, oltre a essere caratterizzato da un bipedismo ormai perfetto, ha una maggiore capacità cranica, una dentatura ormai umana, con riduzione dei canini e dei premolari e molari, e utilizza la mano per fabbricare strumenti in modo sistematico e progressivo (industria del ciottolo: chopper e chopping tools). I più antichi rappresentanti del genere Homo sono riferiti a Homo habilis/rudolfensis. La specie Homo habilis fu coniata nel 1964 da Leakey, Tobias, Napier per alcuni reperti trovati a Olduvai in Tanzania. Ad esso furono anche riferiti reperti simili, ma più cerebralizzati, trovati nel 1972 in Kenya a est del lago Turkana (il lago ex-Rodolfo) e successivamente rinominati come Homo rudolfensis. Il passaggio a un livello più evoluto (maggiore capacità cranica, una certa robustezza nel cranio e nella mandibola) porta alla specie Homo erectus, che per l’Africa viene chiamata ergaster (artigiano) a partire circa da 1,6 milioni di anni fa. Ma per un certo tempo habilis ed ergaster hanno convissuto. L’industria litica è più elaborata. Continua quella su ciottolo e compaiono i bifacciali, caratterizzati da lavorazione su entrambe le facce e sui margini, praticata in modo simmetrico, rivelatrice del concetto di simmetria.

LA PRIMA USCITA DALL’AFRICA

Le uscite dell’umanità dall’Africa verso gli altri continenti sono state più di una. Molto probabilmente la più antica risale a 1,7 milioni di anni fa. Troviamo infatti a Damnissi, in Georgia, un deposito risalente a quell’epoca con numerosi resti umani che appaiono sia morfologicamente che cronologicamente intermedi tra Homo habilis e Homo ergaster. Li accompagna un’industria su ciottolo. Probabilmente attraverso la regione del Caucaso, in varie ondate migratorie, l’uomo si è portato in Asia ed Europa. Una tappa poteva essere la Palestina, dove a Ubeidiya è segnalata una mandibola di circa 1,3 milioni di anni fa. In Africa l’umanità di oltre un milione di anni fa è rappresentata in vari siti: Olduvai (Tanzania), Buia (Eritrea), Daka (Etiopia). I reperti ricordano aspetti morfologici di Homo ergaster/erectus. Nella loro discendenza si ammette anche una forma, Homo antecessor, a cui si potrebbero ricollegare sia i precursori dei Neandertaliani europei, attraverso Homo heidelbergensis di 600.000 anni fa, sia il sapiens arcaico, che si ritrova in Africa intorno a 150.000 anni fa (Idaltu, Etiopia) e si è poi portato in Eurasia passando per il Vicino Oriente.

POPOLAMENTO DELL’EURASIA

A Ceprano, nel Lazio, e Atapuerca, in Spagna, sono segnalati reperti di uomini vissuti 800.000 anni fa. L’uomo della Gran Dolina di Atapuerca potrebbe avere avuto nella sua discendenza Homo heidelbergensis. Presenta infatti nella morfologia craniale qualche tratto che si ritroverà nei Neandertaliani, i grandi dominatori dello scenario europeo fino a 30.000 anni fa. Ancora più evidenti vari aspetti neandertaliani nella faccia di alcuni reperti di Atapuerca (Sima de los huesos) e Tautavel (Pirenei) di 400.000 anni e in altri dell’Europa centrale fino a 100.000 anni fa, quando si ritrovano i Neandertaliani classici. I Neandertaliani affrontarono ambienti rigidi dal punto di vista climatico giungendo fino ai Monti Altai nella Siberia. Nella loro espansione, intorno a 130.000-100.000 anni fa, si portarono nel Vicino Oriente e anche nell’attuale Iraq e nell’Uzbekistan. Nel frattempo Homo erectus si era irradiato in varie regioni dell’Est asiatico: ricordiamo Longuppo, Yunxian, Chou-kou-tien, con il ben noto giacimento del Sinantropo di Pechino, e nell’isola di Giava la bella serie dei Pitecantropi. In Indonesia, nell’isola di Flores, nel 2004 e 2005 c’è stata la sorprendente scoperta di probabili discendenti del Pitecantropo, riferibili a un’epoca tra 74.000 e a 18.000 anni fa. È una forma umana di piccole dimensioni (alti circa un metro con una capacità cranica di 400 cc), accompagnata da utensili, ricollegabile forse a fenomeni di insularità. Vengono considerati discendenti dei Pitecantropi e indicati come Homo floresiensis.

I DIRETTI ANTENATI DI HOMO SAPIENS
L’uscita dell’uomo moderno dall’Africa è avvenuta, forse in diverse ondate, fra 150.000 e 60.000 anni fa. Esso si ritrova in Palestina nella forma arcaica a El-Zuttiye 150.000 anni fa. Anche le analisi biomolecolari depongono per queste uscite dall’Africa verso rotte europee e i grandi spazi dell’Asia centrale, fra cui quelli lasciati liberi dalle glaciazioni. La coesistenza di forme neandertaliane e moderne nel Vicino Oriente a partire da 100.000 anni è ben accertata. In alcuni casi si ha anche comunanza di cultura, quella musteriana. L’uomo anatomicamente moderno si diffonde in Europa dalle regioni orientali intorno a 40.000, 30.000 anni fa e piuttosto rapidamente sostituisce i Neandertaliani per fattori ancora non bene conosciuti. Ma non si deve pensare a genocidi. Non sono da escludere parziali incroci fra le due popolazioni. Alcuni reperti di tipo moderno del Paleolitico superiore (come il bambino di Velho, in Portogallo, e vari reperti della Romania e della Moravia) mostrano qualche aspetto neandertaliano. Caratteri neandertaliani attenuati appaiono già nella donna di Tabun (Israele) che è molto più antica (intorno a 120.000 anni fa), forse per qualche mescolanza con l’umanità moderna proveniente dall’Africa. Del resto la presenza dell’uomo moderno nella grotte di Qafzé e di Skhul in Israele risale a epoca molto antica (90.000 anni fa). C’erano tutte le condizioni per qualche mescolanza di popolazioni. Intorno a 50.000 anni fa l’uomo si porta in Australia e, a partire dalla stessa epoca, ma in ondate diverse, dalle regioni orientali estreme dell’Asia settentrionale l’uomo si porta in America approfittando di un istmo di terra durante l’ultima glaciazione.

NUOVI ORIZZONTI DAL DNA ANTICO

Analisi sul Dna mitocondriale eseguite nei mesi scorsi sulla falange di un Neandertaliano di Denisova nei Monti Altai della Siberia (40.000-38.000 anni fa), confrontate con altri 6 Neandertaliani e 54 uomini moderni, hanno messo in evidenza differenze rispetto all’uomo moderno maggiori di quelle che lo separano dai Neandertaliani. Di conseguenza, se la divergenza tra Neandertaliani e forma moderna viene posta, come pare da vari studi, tra 500.000 e 700.000 anni fa, l’antenato comune alle tre linee (Neandertaliani, moderni e il reperto di Altai) sarebbe molto più antico, oltre un milione di anni fa. In questa ipotesi l’antenato comune potrebbe riferirsi a Homo antecessor, formatosi nella discendenza di Homo ergaster o erectus africano e migrato in Eurasia molto anticamente (un milione di anni fa?), di cui però non abbiamo documentazione. Neandertaliani e Uomo moderno: una medesima specie o specie diverse? Vi sono antropologi e filosofi della scienza che si sbracciano a sostenere che si tratta di specie diverse, forse dimenticando che la variabilità umana consente sottospecie e popolazioni.

Ricerche sul Dna nucleare pubblicate nei giorni scorsi depongono per la interfecondità tra Neandertaliani e moderni e quindi per una medesima specie, come suggeriscono gli studi paleoantropologici. I nuovi studi sul Dna mettono in guardia da facili semplificazioni nel parlare di specie nell’umanità preistorica, specialmente per popolazioni che potevano comunicare facilmente fra loro. Per l’umanità preistorica eventuali specie, caratterizzate cioè da isolamento riproduttivo, sono supposte, ma non dimostrate. E c’è una ragione. La cultura, che caratterizza l’uomo dalle sue origini, deve avere favorito le comunicazioni fra i gruppi e l’adattamento ai vari ambienti, rallentando quell’isolamento che caratterizza i processi di speciazione.

UNA MIA RIFLESSIONE
Nel POST: http://apiuvoci2.blogspot.com/2010/05/ecco-la-vita-artificiale-costruita-la.html
avevo detto che:

"Nell'ipotesi che Dio esista, la visione della mia scuola di pensiero riesce a conciliare evoluzionismo e creazionismo, con una sua teoria: "Dio ha progettato i mattoni dell'universo (le stringhe) in un numero limitato e particolare, insieme a delle leggi fisiche particolari come il NON LOCALISMO. Questo ha fatto si che l'evoluzione dal BIG BANG, in buona parte casuale, avesse dei VINCOLI. Questi vincoli presupponevano che fosse PRATICAMENTE CERTO che, prima o poi, in uno dei 10 elevato a 500 universi paralleli (multiuniverso a 11 dimensioni secondo la M-TEORIA) si sviluppasse un organismo biologico dotato di intelligenza e razionalità. E'superfluo sottolineare che se anche la M-Teoria (quella, oggi, più probabile) non fosse confermata, resterebbe sempre realistico il fatto che l'universo sia costituito da una serie limitata di particelle sub-atomiche, per cui il concetto complessivo della nostra teoria non cambierebbe.
Ne consegue che Dio non ha programmato le singole evoluzioni o mutazioni genetiche (ora anche l'uomo con il suo libero arbitrio le modifica); ma l'uomo era lo stesso nel progetto, veramente intelligente, di Dio."

Ebbene, vista l'evoluzione dell'HOMO dagli australopitechi all'homo sapiens sapiens, con tutte le varie ramificazioni ed incroci, mi sembra più probabile un'evoluzione non guidata, passo passo, da Dio, ma libera di svilupparsi, in accordo con la visione della mia scuola di pensiero. Il risultato finale è stato lo stesso; ma non penso che l'homo sia l'ultimo stadio dell'evoluzione biologica.

Alessandra

martedì 25 maggio 2010

Un dialogo con Carlo Consoli.




Qualche giorno fa avevo lasciato un mio commento sul POST:
http://www.cronachelaiche.it/2010/05/dio-e-in-tutti-noi-creata-la-prima-forma-di-vita-artificiale/comment-page-1/#comment-41089
postato da Carlo Consoli.

Ne è derivato un dialogo che voglio riportare, epurato dagli altri interventi, in modo che risulti più lineare:

Commento di Alessandra (Poi aggiornato con quello dei questo BLOG):
Una mia riflessione.
Sarà interessante vedere se questi nuovi batteri artificiali, capaci di riprodursi, avranno una evoluzione genetica similare o diversa di quelli naturali. Il Cardinale Bagnasco ha parlato di intelligenza come dono di Dio, riferendosi probabilmente anche alla RAZIONALITA’ (che viene usata spesso dai cristiani, per dire che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, proprio per la razionalità). Se fosse vero questo, anche gli ipotetici organismi discendenti da questi batteri artificiali dovrebbero avere, prima o poi, la stessa nostra razionalità. E qui non sono tanto d’accordo.
Antonio Damasio, uno dei più grandi neuroscienziati viventi, ha affermato, in un suo libro tradotto in 19 lingue, che l’errore di Cartesio è stato quello di non capire che la natura ha costruito la razionalità umana, non sopra la regolazione biologica, ma a partire da questa e al suo stesso interno. E la coscienza, ad esempio, si è evoluta gradatamente tramite tre tappe fondamentali (il Proto-se, la Coscienza nucleare e la Coscienza estesa. Vedi: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Damasio.html). Per analogia, ogni evoluzione biologica, compresa la costruzione progressiva della RAZIONALITA’, per le proprietà trascrizionali scoperte da Eric Kandel (Vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm), si deve evolvere con le esperienze e le interazioni con l'ambiente. Questo viene confermato dal fatto che molti principi di meccanica quantistica e la stessa relatività ristretta di Einstein non vengono compresi razionalmente, ma ACCETTATI o meglio SUBITI sia per il formalismo matematico e sia per essere verificati sperimentalmente. La nostra razionalità non avendone mai fatto esperienza, infatti non li comprende in modo intuitivo. La razionalità si serve della matematica e della logica, ma non coincide con esse.
Nulla esclude che organismi che hanno avuto esperienze diverse da noi e dai nostri antenati, raggiungano una diversa razionalità capace di intuire senza sforzo anche i concetti di meccanica quantistica, se ne faranno precoce esperienza.
Tutto questo anche per confutare la presunzione di molti atei. Se l’uomo non ha mai fatto esperienza di Dio (ammesso che esista) come farebbe a comprenderlo con la sua razionalità (frutto di progressive esperienze evolutive)?
Gli ATEI, inconsapevolmente, presuppongono che la razionalità, di cui tanto si vantano, sia caduta dal cielo (come per virtù dello SPIRITO SANTO), e poi pretendono di negare l’esistenza di DIO con la stessa razionalità. Non è così. Noi abbiamo una nostra razionalità umana frutto della nostra particolare evoluzione, che è sempre condizionata dalle limitate esperienze fatte. Ovviamente questo vuol dire che non si può dimostrare con la nostra razionalità la NON ESISTENZA DI DIO, come pretendono di fare molti atei, ma nemmeno la sua esistenza.

Nell'ipotesi che Dio esista, la visione della mia scuola di pensiero riesce a conciliare evoluzionismo e creazionismo, con una sua teoria: "Dio ha progettato i mattoni dell'universo (le stringhe) in un numero limitato e particolare, insieme a delle leggi fisiche particolari come il NON LOCALISMO. Questo ha fatto si che l'evoluzione dal BIG BANG, in buona parte casuale, avesse dei VINCOLI. Questi vincoli presupponevano che fosse PRATICAMENTE CERTO che, prima o poi, in uno dei 10 elevato a 500 universi paralleli (multiuniverso a 11 dimensioni secondo la M-TEORIA) si sviluppasse un organismo biologico dotato di intelligenza e razionalità. E'superfluo sottolineare che se anche la M-Teoria (quella, oggi, più probabile) non fosse confermata, resterebbe sempre realistico il fatto che l'universo sia costituito da una serie limitata di particelle sub-atomiche, per cui il concetto complessivo della nostra teoria non cambierebbe".

Ne consegue che Dio non ha programmato le singole evoluzioni o mutazioni genetiche (ora anche l'uomo con il suo libero arbitrio le modifica); ma l'uomo era lo stesso nel progetto, veramente intelligente, di Dio. Un Dio che ci trattasse come dei burattini o come componenti di un videogioco programmato, non mi sembra tanto intelligente; e qualcuno come Craig Venter potrebbe illudersi di essersi sostituito a lui, creando una cellula artificiale. Invece anche l'azione dell'uomo nel poter creare nuove forme di organismi viventi rientra sempre nel progetto complessivo di Dio. E si superano così anche le apparenti contraddizioni tra fede cristiana e biologia (vedi: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/77264).

Commento di Carlo Consoli del 23 Maggio; ore 23:05

Grazie Alessandra del dettagliato commento.

Devo dire che sono sorpreso, perché come ricercatrice e docente di queste materie hai sicuramente piena padronanza della materia e sappiamo benissimo che il raziocinio non è affatto un dono di Dio, ma il frutto di una specifica abilità del cervello, data dalle sue caratteristiche intrinseche di riconoscimento di schemi di percezioni e “convergenza” verso un risultato elaborativo.
Insomma, una rete neurale in grado di autoapprendere che si “autodefinisce” negli anni. Non c’è alcuna traccia sperimentale del “dono di Dio” o dell’attività “divina” alla base della creazione.
Nessuna, dico nessuna evidenza sperimentale.

E sono francamente sorpreso del fatto che anche altri ricercatori / scienziati credenti, quando affermano che alla base di tutto c’è Dio, non chiariscono che questo è un punto di vista puramente personale, non suffragato da alcuna evidenza sperimentale.Dio c’è perché a noi piace crederci, non certo perché ne abbiamo trovato indicazioni o evidenze riscontrabili in esperimenti ripetibili nel tempo.

I risultati di scienza non sono mai accettati o subiti, sono verificabili e ripetibili. Certo, occorre cultura scientifica per comprenderli, ma ciò non toglie che, con il dovuto percorso di apprendimento, non si possa arrivare a comprenderli e verificarli.
Gli atei non presuppongono affatto che la razionalità (ma poi che vuol dire razionalità ???) sia caduta dal cielo, anzi, sanno benissimo che le facoltà intellettive sono frutto di un processo evolutivo e di adattamento. Diciamo che di persone che credono ai doni piovuti dal cielo, nella schiera degli atei, ce ne sono pochissime.

Mi fa piacere che tu parli di multiversi e della teoria delle superstringhe (ancora da provare, però): ecco, di questi multiversi nello spazio delle superstringhe a 10 o 11 dimensioni, nelle sacre scritture, non c’è traccia. Si parla chiaramente di cielo e terra, di sole e luna, senza riferimento alcuno a possibili mondi di altro genere. Sai benissimo che possono esistere pianeti o lune abitabili in orbita a stelle doppie. Di tutto ciò, nessun cenno nelle sacre scritture.
Un ateo come me, è stata proprio leggendo le sacre scritture che si è convinto che si tratta di pura invenzione. E già che siamo in tema di superstringhe, i testi “religiosi” più prossimi all’interprezione filosofica della fisica moderna non sono quelli cattolici, ma quelli induisti, taoisti e buddisti.

Per finire, ammesso che abbia un senso la parola “razionalità”, che non è una facoltà intellettiva ma una collezione di funzioni cerebrali, la comprensione di Dio mediante la razionalità è semplicissima: Dio nasce per tranquillizzarci rispetto alla nostra terribile angoscia di morte e, con questa scusa, controllare le masse incapaci di costruire un proprio percorso formativo e di analisi critica. Spiegare Dio con la razionalità è di una semplicità impressionante, ammesso che si abbia il coraggio di togliersi le fette di prosciutto dagli occhi: è una invenzione umana che fa comodo per controllare le menti delle persone, asservendole ad un interesse di parte, poggiata sulla superstizione. Tale e tanta è la superstizione che persino scienziati e ricercatori annebbiano il proprio punto di vista scientifico in favore di “verità” puramente frutto di suggestione.

O, peggio, di comodo per far carriera nel contesto di riferimento.


Commento di Alessandra del 24 Maggio; ore 3:23
@ Carlo,
sono capitata casualmente nel tuo blog, e la mia seconda risposta doveva essere indirizzata a Bobo e non a te; e di questo mi scuso. Poi, non vorrei affrontare un dibattito sulle cose che ho detto, visto e considerato che occorrono conoscenze più specifiche che non tutti possono avere; e anche perché ho sintetizzato notevolmente i miei concetti per ragioni di spazio; per cui si possono prestare ad inesatte interpretazioni.
Mi limito pertanto ad alcune precisazioni:
1) Dal sito: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm
possiamo conoscere il quadro concettuale in cinque punti di Eric Kandel, e che riporto i più significativi:
“Conoscenze parziali di come funzionano i geni hanno generato due malintesi: il primo è che i biologi siano convinti della rigida determinazione dell’azione genica; il secondo è che i geni abbiano la sola funzione di trasmettere l’informazione ereditaria da una generazione all’altra.
È necessario definire le due funzioni del gene. La prima è la funzione modello (trasmissione), che fornisce alle generazioni successive le copie di tutti i geni presenti nell’individuo. Il modello può essere alterato solo da mutazioni, rare e spesso casuali. Questa funzione è al di fuori di interferenze individuali o sociali. La seconda è la funzione trascrizionale che si riferisce alla capacità di un dato gene di dirigere la produzione di specifiche proteine in una data cellula. Questa funzione esercita un’attività di regolazione sensibile a fattori ambientali. ” …etc.
Da qui, si comprende, che ogni EVOLUZIONE avviene raramente per mutazioni genetiche, ma quasi sempre per adattamento alle esperienze ambientali, e quindi in un lentissimo processo. Ne consegue che anche la RAZIONALITA’ deve seguire un’evoluzione per apprendimento dall’ambiente.

2) Dal sito: http://web.archive.org/web/20071103180127/http://www.geocities.com/capecanaveral/hangar/6929/Mqfull.html
Tiziano Cantalupi ci conferma che:
“Seppur fortemente avversata sin dal suo apparire (Einstein per manifestare la sua contrarietà arrivò a coniare la frase “Dio non gioca a dadi”) la Meccanica Quantistica, è oggi universalmente accettata. Essa, oltre spiegare processi a livello microscopico come la stabilità dell’atomo o processi macroscopici come la superconduttività, ha ottenuto recenti eclatanti conferme sperimentali : si pensi alla diseguaglianza di Bell. Ciononostante il grado di diffidenza nei confronti di questa materia – sempre in bilico tra Fisica e Metafisica – è rimasto (come si diceva anche dianzi) alto. I suoi assunti, al limite dell’assurdo, mettono a dura prova le menti più aperte.

Anche nell’era dei computer superveloci, la Teoria Quantistica più che una scienza “accettata” si caratterizza per una scienza “subita”. E sono soprattutto gli studiosi di microfisica, i quali ogni giorno hanno a che fare con i suoi assunti filosofici e con il suo formalismo matematico, che più soffrono questo stato di cose.”

3) Ne approfitto per segnalare il mio blog: :-)
http://www.apiuvoci2.blogspot.com

Saluti.

Commento di Alessandra del 25 Maggio; ore 6:35
@ Carlo

Come potrà verificare leggendo il mio BLOG “:
http://www.apiuvoci2.blogspot.com
e il Blog e il sito del Calantropio, noi di certi argomenti ce ne interessiamo da tempo, n modo approfondito e non incidentalmente solo ora. Penso, quindi, che, forse, sia utile sentire anche la nostra versione a proposito della fenomenologia delle religioni e del concetto di Dio.

NASCITA DEI CULTI e FENOMENOLOGIA DELLA RELIGIONE
Quando parliamo di “DIO” o di qualunque altre forma di entità soprannaturale, dobbiamo essere consapevoli che è una “nozione” non molto precisa e Gerardus van der Leeuw, nel suo libro Fenomenologia della religione, ci sottolinea che l’esperienza religiosa vissuta si riferisce a qualche cosa DI DIVERSO, CHE SORPRENDE, che esce dall’ordinario.
La credenza più antica è generata da osservazioni empiriche; e per la maggior parte dell’evoluzione della religione primitiva, dobbiamo sostituire all’immagine di Dio (concepita solo negli ultimi millenni), la semplice NOZIONE del diverso, dell’eterogeneo, dello straordinario.
Il soprannaturale, in qualunque sua forma, è dotato di Potenza (o MANA), e non è di natura fisica, ma si rivela nella forza fisica o in tutte le forze e capacità possedute dall’uomo. Ad esempio, un cacciatore primitivo si allontana dal suo accampamento in cerca di selvaggina, e lungo la strada trova un sasso “colorato” molto bello; lo raccoglie e decide di portarlo a casa. Per pura casualità e coincidenze, da quel momento ha degli episodi molto fortunati sia a caccia, sia al ritorno a casa con la moglie e sia in altri vari episodi. Il cacciatore si convince allora che il sasso che ha raccolto ha un potere (un MANA) che le procura fortuna: COSI’ NASCONO I VARI POTERI SOPRANNATURALI CHE L’UOMO ATTRIBUISCE AGLI OGGETTI, ALLE MONTAGNE, LAGHI, ASTRI, etc.
Dal punto di vista antropologico, i recenti studi collocano l’australopiteco a circa cinque milioni di anni fa, per arrivare ai primi ominidi a tre milioni di anni fa; ma solo ad iniziare da 200.000 anni fa abbiamo i primi riscontri che l’uomo acquisisce la ragione e l’astrazione, con il culto dei morti, degli antenati e dell’arte (prime pitture rupestri).
In seguito nascono i poteri specializzati (ci si rende conto cioè che non tutte le potenze agiscono in tutti i campi, ma alcune agiscono solo in alcuni settori.
Tutte le religioni preistoriche e primitive, in ogni parte del mondo, nascono intorno alla figura dello SCIAMANO. Lo sciamano, a differenza del sacerdote o del re, non deriva da un’istituzione, ma ha base empirica, possiede facoltà innate o trasmesse e ha un comportamento di carattere estatico. Quando entra in trance è ponte fra le energie spirituali e quelle terrene, un canale della volontà divina e delle forze della natura che mette a disposizione dell’umanità.
Nei millenni, poi nacque la convinzione che la potenza era capace di rimanere attaccata agli oggetti (ad esempio agli AMULETI) e ai corpi più diversi; per questo fu coniata la parola tedesca “Seelenstoff” (letteralmente: materia dell’anima). Ma anche i luoghi, specie quelli consacrati con dei riti, divenivano centri di particolare rilevanza. Successivamente, nel mondo ellenistico-cristiano l’idea di potenza ci si presenta come “nozione di pneuma” (come anima universale, forza motrice entro tutte le cose) e di hegemònikon (anima individuale umana).
In conclusione, in qualsiasi religione o culto primitivo umano, l’attribuzione della potenza ad un oggetto, un astro o altro, è sempre STATO un fatto empirico e spesso casuale.

Una conferma di quanto sopra si ha con gli aborigeni australiani, vissuti per oltre 50.000 anni isolati dal resto dei continenti,e che non avevano, prima dell’avvento delle altre popolazioni, né il concetto d Dio e né il concetto della proprietà. Sono loro che appartengono al territorio in cui vivono, e non viceversa.

vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva40.html

Commento di Carlo Consoli del 25 Maggio; ore 11:10
@Alessandra: Ti chiedo la cortesia di non fare copia ed incolla di contenuti da siti, metti semplicemente il link, così è più agile leggerli. Cioè se hai del contenuto fresco e scritto di tuo pugno adesso inseriscilo pure, scritti preesistenti possono essere semplicemente linkati.
Detto ciò, è assolutamente interessante ascoltare i pareri di chi si occupa della materia da diverso tempo. E’ altrettanto importante però ribadire che l’approccio scientifico non ha mai apportato conferme alle impostazioni mistico/religiose.
Dal punto di vista scientifico, religione e superstizione sono di fatto la stessa cosa.


Commento di Alessandra del 25 Maggio; ore 11:50
@ Carlo,

intanto vorrei sottolineare che la psicomatica si insegna nelle università:

LIBRI ON LINE DELLA CATTEDRA DI PSICOSOMATICA dell’UNIVERSITA’ DI TORINO:

http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/badjob/Luca.pdf

http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/badjob/Salese.pdf

E che la comunità europea cofinanzia l’enciclopedia olistica:

http://www.globalvillage-it.com/enciclopedia/index.htm

Poi, che per la maggior parte degli scienziati (non certo tutti quelli menzionati nei link di cui sopra) religione e superstizione sono di fatto la stessa cosa, mi è di aiuto per DIMOSTRARE che le religioni nascono “empiricamente” e non per controllare le menti delle persone, asservendole ad un interesse di parte, poggiata sulla superstizione o sulla paura dell’aldilà(Se poi alcuni sfruttano questo, è un altro discorso). Certo che chi crede nell’astrologia o nella magia non lo fa per paura dell’oltretomba.

Io sono cristiana, anche se non cattolica, perché non credo nella metafisica ellenistica; ma credo in un altro sistema filosofico, che si distacca anche dall’olismo, dal riduzionismo e dal relativismo.

L’esperienza religiosa è sempre un fatto personale; e statistiche alla mano su 506 premi nobel scientifici (medicina, fisica e chimica) solo 6 si sono dichiarati apertamente atei. Il resto o credente o agnostico.


A QUESTO PUNTO il POST di CRONACHE LAICHE è stato stranamente chiuso, e Carlo Consoli, in una sua email, mi ha comunicato che riteneva di aver dialogato in modo sufficiente, rimandando tutto alla prossima occasione.


Per cui non mi resta che controbattere alcuni punti che mi riservavo di fare in seguito e ringrazio l'anonimo di aver lasciato il commento n.1, che condivido.

In riferimento al commento dell’anonimo, devo evidenziare che il mio creazionismo si avvicina molto a quello di Einstein che coniò la famosa frase “DIO NON GIOCA AI DADI”; anzi il mio è un creazionismo che ammette che Dio giochi anche ai dadi. Per cui mi ritengo in ottima compagnia :-).
Va da se che non credo che i fatti biblici siano reali, ma solo allegorici. E dico di essere cristiana in quanto credo che la morale evangelica cristiana coincide con la morale bioetica umana. Vedi il mio POST:
http://apiuvoci2.blogspot.com/2010/01/il-bene-e-il-male-rev-1.html
oltre al fatto che Cristo abbia parlato 2000 anni fa di risurrezione dei morti in carne e spirito, come se già sapesse dell’esperimento del batterio con il DNA creato al computer (per quanto riguarda la conservazione del codice del DNA e dello spirito faccio riferimento alla teoria del Calantropio).

Sull’affermazione di Carlo Consoli “Non c’è alcuna traccia sperimentale del “dono di Dio” o dell’attività “divina” alla base della creazione. Nessuna, dico nessuna evidenza sperimentale.”, era proprio il punto che volevo evidenziare nel mio primo intervento, sulla limitatezza della nostra ragione:
SE ANCORA NON SAPPIAMO SE LA COSCIENZA SI POSSA SPIEGARE FISICAMENTE con una teoria del tutto ancora da scoprire, se non sappiamo cos’è la materia oscura, se non sappiamo se esiste il Bosone di Higgs, se non abbiamo mai fatta esperienza diretta di Dio, come faremmo a riconoscere se vi sono delle sue evidenze sperimentali?
Concludo con il confermare la massima stima per gli agnostici, ma di non capire gli atei che hanno la presunzione di affermare che SICURAMENTE DIO NON ESISTE. Forse ha ragione l'anonimo nel suo commento n. 1 di questo POST, non per tutti gli atei, ma per una buona parte di essi.



Alessandra

venerdì 21 maggio 2010

Ecco la vita artificiale: costruita la prima cellula "comandata" da un DNA sintetico



Per 15 anni, Craig Venter ha inseguito un sogno: costruire un genoma da zero e utilizzarlo per costruire la vita sintetica. Oggi sembra essere riuscito a realizzarlo: ha creato un genoma sintetico e lo ha trasferito con successo in un batterio, dal quale ha tolto il Dna naturale. Ha costruito così Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0, il primo batterio controllato da un genoma sintetico.

Da un articolo di Amelia Beltramini, su FOCUS del 20 maggio 2010


La nascita della prima colonia batterica dal genoma interamente sintetizzato da macchine di laboratorio risale a un mese fa, un microscopico grumo di cellule blu, apparentemente insignificanti, ma la rivista scientifica Science ne dà notizia con grande enfasi solo ora, alle 20 del 20 maggio. Artefici i tre moschettieri della vita artificiale, Craig Venter, Clyde Hutchinson III e Hamilton Smith, biologi molecolari del Jcvi (J Craig Venter Institute). È loro anche questo progresso verso la creazione di una vita veramente sintetica, che, promettono, è l’alba di una Genesi dell’uomo.

La vita progettata in laboratorio

«È la prima cellula sintetica fabbricata dall’uomo e la chiamiamo sintetica perché è derivata interamente da un cromosoma sintetico, costruito con 4 bottiglie di 4 diverse sostanze chimiche, le basi della vita, e un sintetizzatore chimico, il tutto manovrato da un computer che detta le istruzioni della sequenza » spiega Venter. «Queste apparecchiature oggi sono diventate potentissime e ci consentiranno in futuro di progettare quello che vogliamo. Abbiamo già in mente un lungo elenco di applicazioni». Fra le quali alghe capaci di catturare la CO2, microbi per produrre nuovi carburanti o nuove sostanze chimiche, velocizzare la produzione di vaccini, ripulire acque o suoli inquinati. Applicazioni che Venter ha già brevettato.

Un decennio di lavoro e contrattempi

Il lavoro è stato tutt’altro che semplice. Per non parlare dei contrattempi: nel procedimento una base sbagliata (una sola lettera chimica) sulle 10.001.080 del genoma batterico artificiale ha rallentato per ben 3 mesi la “creazione” costringendo i ricercatori alla faticosa ricerca dell’errore perché il microbo viveva, ma non faceva nulla: non si moltiplicava e non produceva proteine. Fortunatamente la base sbagliata è stata individuata e corretta e la colonia ha preso vita e adesso si comporta come il batterio naturale copiato.


Al mercato del Dna

Il genoma sintetico del batterio è la copia pedissequa di un genoma già esistente in natura, quella del Mycoplasma mycoides (M. mycoides). In prima battuta, i ricercatori hanno comprato sul mercato migliaia di spezzoni del genoma artificiale del M. mycoides riducendolo ai minimi termini cioè privandolo di 14 geni apparentemente non necessari.
Tuttavia, le attrezzature oggi disponibili sono in grado di assemblare solo stringhe di Dna corte, mentre il genoma del M. mycoides è lungo oltre un milione di basi. Come superare questo ostacolo? Come incollare uno spezzone all’altro? I ricercatori sono ricorsi alla natura: il lievito possiede enzimi riparatori che incollano uno spezzone all’altro. I ricercatori hanno quindi inserito i loro spezzoni di Dna batterico nel lievito per ben tre volte, affidando alla natura il compito di legare uno spezzone all’altro fino ad avere il cromosoma batterico intero.

Nuova vita ai batteri

Infine hanno estratto il cromosoma naturale da un M. capricolum e vi hanno inserito il cromosoma dell’M. mycoides, che si è preso carico della parete cellulare e di tutte le sue strutture interne e ha cominciato a utilizzare le strutture dell’M capricolum per sintetizzare le proteine dell’M mycoides e farlo moltiplicare. «Abbiamo chiaramente trasformato una cellula in un’altra» spiega Venter.

Limiti e pericoli
E le potenziali applicazioni criminali? Per ora sono impensabili: il procedimento è troppo complesso perché possa essere utilizzato per esempio da bioterroristi. La produzione di questa nuova forma di vita è costata 40 milioni di dollari e il lavoro di 20 ricercatori impegnati a tempo pieno per oltre un decennio.
«Ci sono grandi difficoltà da superare prima che l’ingegneria genetica sia in grado di ridisegnare, mescolare, inventare il genoma di un organismo dal nulla» ha detto Paul Keim genetista molecolare della Northern Arizona University di Flagstaff alla rivista Science. Ma un altro passo verso la nuova Genesi artificiale è stato fatto.

IL COMMENTO DEL CARDINALE BAGNASCO, presidente della CEI
All’indomani dell’annuncio della creazione della prima cellula batterica sintetica il mondo si chiede a che sviluppi la scoperta possa portare. Non c'è ancora una posizione ufficiale della Chiesa ma arrivano i primi commenti dalle autorità ecclesiastiche. La creazione della cellula artificiale «è un ulteriore segno della grande intelligenza dell’uomo». Lo ha detto venerdì, a Torino, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, prima di entrare al Duomo per visitare la Sindone, insieme ai pellegrini della Diocesi di Genova. «Non conosco i termini precisi della questione - ha spiegato il cardinale - ho letto solo i titoli sui giornali questa mattina, ma certamente se le cose stanno così questo è un ulteriore segno dell’intelligenza, dono di Dio per conoscere meglio il creato e poterlo meglio ordinare, ulteriormente ordinare». «D’altra parte - ha sottolineato Bagnasco - l’intelligenza non è mai senza responsabilità, quindi ogni forma di intelligenza e ogni acquisizione scientifica vale in sè deve sempre essere commisurata alla dimensione etica, che ha al cuore la dignità vera di ogni persona nella prospettiva del creato».

Una mia riflessione.
Sarà interessante vedere se questi nuovi batteri artificiali, capaci di riprodursi, avranno una evoluzione genetica similare o diversa di quelli naturali. Il Cardinale Bagnasco ha parlato di intelligenza come dono di Dio, riferendosi probabilmente anche alla RAZIONALITA’ (che viene usata spesso dai cristiani, per dire che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, proprio per la razionalità). Se fosse vero questo, anche gli ipotetici organismi discendenti da questi batteri artificiali dovrebbero avere, prima o poi, la stessa nostra razionalità. E qui non sono tanto d’accordo.
Antonio Damasio, uno dei più grandi neuroscienziati viventi, ha affermato, in un suo libro tradotto in 19 lingue, che l’errore di Cartesio è stato quello di non capire che la natura ha costruito la razionalità umana, non sopra la regolazione biologica, ma a partire da questa e al suo stesso interno. E la coscienza, ad esempio, si è evoluta gradatamente tramite tre tappe fondamentali (il Proto-se, la Coscienza nucleare e la Coscienza estesa. Vedi: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Damasio.html). Per analogia, ogni evoluzione biologica, compresa la costruzione progressiva della RAZIONALITA’, per le proprietà trascrizionali scoperte da Eric Kandel (Vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm), si deve evolvere con le esperienze e le interazioni con l'ambiente. Questo viene confermato dal fatto che molti principi di meccanica quantistica e la stessa relatività ristretta di Einstein non vengono compresi razionalmente, ma ACCETTATI o meglio SUBITI sia per il formalismo matematico e sia per essere verificati sperimentalmente. La nostra razionalità non avendone mai fatto esperienza, infatti non li comprende in modo intuitivo. La razionalità si serve della matematica e della logica, ma non coincide con esse.
Nulla esclude che organismi che hanno avuto esperienze diverse da noi e dai nostri antenati, raggiungano una diversa razionalità capace di intuire senza sforzo anche i concetti di meccanica quantistica, se ne faranno precoce esperienza.
Tutto questo anche per confutare la presunzione di molti atei. Se l’uomo non ha mai fatto esperienza di Dio (ammesso che esista) come farebbe a comprenderlo con la sua razionalità (frutto di progressive esperienze evolutive)?
Gli ATEI, inconsapevolmente, presuppongono che la razionalità, di cui tanto si vantano, sia caduta dal cielo (come per virtù dello SPIRITO SANTO), e poi pretendono di negare l’esistenza di DIO con la stessa razionalità. Non è così. Noi abbiamo una nostra razionalità umana frutto della nostra particolare evoluzione, che è sempre condizionata dalle limitate esperienze fatte. Ovviamente questo vuol dire che non si può dimostrare con la nostra razionalità la NON ESISTENZA DI DIO, come pretendono di fare molti atei, ma nemmeno la sua esistenza.

Nell'ipotesi che Dio esista, la visione della mia scuola di pensiero riesce a conciliare evoluzionismo e creazionismo, con una sua teoria: "Dio ha progettato i mattoni dell'universo (le stringhe) in un numero limitato e particolare, insieme a delle leggi fisiche particolari come il NON LOCALISMO. Questo ha fatto si che l'evoluzione dal BIG BANG, in buona parte casuale, avesse dei VINCOLI. Questi vincoli presupponevano che fosse PRATICAMENTE CERTO che, prima o poi, in uno dei 10 elevato a 500 universi paralleli (multiuniverso a 11 dimensioni secondo la M-TEORIA) si sviluppasse un organismo biologico dotato di intelligenza e razionalità. E'superfluo sottolineare che se anche la M-Teoria (quella, oggi, più probabile) non fosse confermata, resterebbe sempre realistico il fatto che l'universo sia costituito da una serie limitata di particelle sub-atomiche, per cui il concetto complessivo della nostra teoria non cambierebbe".

Ne consegue che Dio non ha programmato le singole evoluzioni o mutazioni genetiche (ora anche l'uomo con il suo libero arbitrio le modifica); ma l'uomo era lo stesso nel progetto, veramente intelligente, di Dio. Un Dio che ci trattasse come dei burattini o come componenti di un videogioco programmato, non mi sembra tanto intelligente; e qualcuno come Craig Venter potrebbe illudersi di essersi sostituito a lui, creando una cellula artificiale. Invece anche l'azione dell'uomo nel poter creare nuove forme di organismi viventi rientra sempre nel progetto complessivo di Dio. E si superano così anche le apparenti contraddizioni tra fede cristiana e biologia (vedi: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/77264).

Alessandra

giovedì 20 maggio 2010

IL CERVELLO DEI BIMBI APPENA NATI NON SI FERMA MAI - I neonati imparano anche nel sonno



Da un articolo di Emanuela Di Pasqua, sul corriere della sera del 19 Maggio 2010.

I neonati imparano anche nel sonno

Che durante il sonno si metabolizzino le informazioni è noto, ma ora è stato dimostrato un modello cognitivo incosciente molto evoluto anche nei piccolissimi

MILANO - Ad appena un giorno o due di vita ha già inizio il processo di apprendimento e il cervello dei piccolissimi si dimostra un lavoratore instancabile, tanto da continuare a elaborare informazioni anche durante il sonno. Lo sostengono i ricercatori dell'Università della Florida, che hanno testato le reazioni di 26 bimbi appena nati (di uno o due giorni al massimo) nel corso di un riposino, verificando l'esistenza un'attività cerebrale significativa anche mentre dormivano.

L'ESPERIMENTO - Gli studiosi hanno fatto sentire ai piccoli una musica e successivamente hanno soffiato gentilmente sulle loro palpebre chiuse. Quando, dopo venti minuti, gli esperti hanno nuovamente proposto la melodia ai neonati, ben 24 bambini hanno istintivamente strizzato gli occhi al suono delle note musicali: i piccini avevano appreso l'automatismo anche durante la nanna, anticipando la risposta a un'esperienza a loro già nota.

NEONATI COME SPUGNE - I lattanti si sono dimostrati vere e proprie spugne di informazioni, rivelando una capacità di apprendimento che va oltre la veglia e che suggerisce più di una riflessione sul funzionamento del cervello fin dai primi giorni di vita. Il fatto che il sonno sia un momento cruciale per metabolizzare le informazioni acquisite da svegli è noto da tempo, ma l'esistenza di un modello cognitivo incosciente in bambini così piccoli (il cui schema del sonno è chiaramente molto diverso rispetto a quello di bimbi più grandi o di adulti) implica un cervello molto più evoluto di quanto non si pensasse. Secondo la psicologa Dana Byrd i piccolissimi, avvolti tra le braccia di Morfeo, mostrano una forma di comprensione che non è riscontrabile nemmeno tra gli adulti.

DIAGNOSI PRECOCE - Lo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, è il primo a dimostrare il funzionamento del cervello durante il sonno nei piccolissimi e può avere importanti implicazioni nell'individuazione precoce di disturbi di apprendimento, quali l'autismo o la dislessia.

Ho voluto segnalare questo recentissimo articolo scientifico perché va nella direzione di una moderna concezione di COSCIO ed INCONSCIO. Da tempo era chiaro che Coscienza ed Inconscio, normalmente, accedono a memorie separate, ma oggi sempre più è chiaro che CONSCIO ed INCONSCIO funzionano come due PROGRAMMI INDIPENDENTI in un ambiente WINDOWS di uno stesso computer. Questi programmi, poi, interagiscono tra di loro, influenzandosi a vicenda e scambiandosi molte informazioni.
Un esempio classico avviene nei SOGNI REM, in cui noi siamo ATTORI e SPETTATORI, mentre il REGISTA e lo SCENEGGIATORE è il nostro inconscio. Questa sua capacità di fare il regista e lo sceneggiatore IMPLICA anche una forma di AUTOCOSCIENZA.
Lo stesso schema di più programmi che girano in un ambiente windows, lo ritroviamo nei soggetti con PERSONALITA’ MULTIPLE, in cui ogni personalità ha dei propri ricordi, e un carattere diverso. Come è noto, dal POST precedente sul funzionamento del cervello secondo Boyden, il cervello per avere un carattere diverso, probabilmente, interrompe, da solo, il funzionamento di singole sinapsi, quando viene attivata una certa personalità di quelle multiple. Sinapsi che poi ripristina, e ne interrompe altre, negli altri casi.
Analogamente, secondo la visione della mia scuola di pensiero, vi sono più livelli di inconsci indipendenti (anche con diverse memorie) , che possono funzionare come in una moderna rete internet coinvolgendo altri inconsci di persone inconsapevoli.

Un esempio di questo, lo ritroviamo nell’articolo di micropsicoanalisi del Prof. Nicola Peluffo:
http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/editoriale/articoli/edi4.html
di cui riporto un breve estratto:

“Sovente, l'analizzato, durante le sedute successive a tale studio e alla visita dei luoghi dove ha passato la sua infanzia, l'adolescenza e anche la vita adulta, oppure durante la visita dei luoghi della sua filogenesi (gli insediamenti dove abitavano i suoi antenati) riporta in seduta fatti che se si usassero categorie usuali di spiegazione, potrebbero essere interpretati solo facendo ricorso ad un concetto ben opinabile: la telepatia.

Le associazioni di seduta, nel periodo che segue la visita, vertono sullo stupore che qualche parente completamente all'oscuro di tali procedure (la madre per esempio) abbia spontaneamente iniziato a parlare di fatti avvenuti in quella o quelle case, che i giorni precedenti, erano state l'oggetto della visita. La cosa ancora più interessante è che in quei giorni o in quella, o quelle settimane, si facciano sentire o vedere, in modo diretto o indiretto, (visite, telefono o altri mezzi di comunicazione) persone che in epoche diverse della vita del soggetto, erano state depositarie di traslazioni (transfert) che ripetevano rapporti con elementi (persone, fatti, etc.) accaduti durante il periodo in cui il soggetto viveva in quella determinante casa visitata.
Anche se sembra assolutamente irreale, il fenomeno ci porta a pensare che la raccolta dei dati rappresentazionali-affettivi che avviene durante la visita metta in moto processi energetici che tendono a far entrare nella forma ripetitiva, anche altri oggetti in quanto rapporti transferali esistenziali, che sono costretti (le motivazioni sociali sono spesso inconsistenti) ad interagire inconsciamente con la situazione creatasi durante la visita dei luoghi. 1

Per dirla in modo più chiaro, esiste una situazione omeostatica del sistema inconscio-preconscio-conscio che regola i rapporti tra gli elementi della forma, servendosi della continuità del vuoto. La visita dei luoghi che fa da resto diurno alle attività dell'inconscio, mette in moto processi che si specificano nel secondario e, per esempio, il signor o la signora tal dei tali, che in epoche successive sono entrati nella storia transferale del soggetto, come in una «piece» teatrale sono inconsciamente «scritturati» per partecipare alla vicenda esistenziale del soggetto stesso. E’ un fenomeno molto simile a quello per il quale un personaggio conosciuto o sconosciuto entra a fare parte della nostra vita onirica.

Certamente tutto questo discorso diventa follia se…….”


Alessandra

sabato 1 maggio 2010

Altri tasselli sul funzionalmento del cervello.

.....
Le Scienze, Maggio 2010, n. 501 - L'attività del cervello a riposo

Le regioni cerebrali che mostrano un alto livello di attività quando la nostra mente vaga oziosamente potrebbero rivelarsi essenziali per capire alcuni disturbi neurologici, e forse addirittura la coscienza. Di Marcus E. Raichle


Le neuroscienze hanno a lungo ritenuto che, quando la nostra mente è in ozio,i circuiti del cervello fossero spenti. Esperimenti basati su neuroimmagini hanno invece mostrato la presenza di un livello persistente di attività di fondo. Questa cosiddetta «modalità di default» potrebbe essere essenziale nella pianificazione di azioni future. Circuiti difettosi nelle aree cerebrali implicate in questa modalità potrebbero causare patologie, dall’Alzheimer alla schizofrenia.

La duplice funzione dei sogni - Le Scienze del 23 Aprile 2010

Le esperienze recenti sarebbero elaborate contemporaneamente dall'ippocampo in funzione dei problemi contingenti, e dalle aree corticali superiori per saggiarne l'applicabilità delle nuove informazioni a compiti più complessi e astratti
I sogni sarebbero il modo in cui il cervello ci permette di sentire la complessità del lavoro di consolidamento nella memoria delle esperienze recenti in modo, sul breve termine, da migliorare le capacità di svolgere con efficienza specifici compiti e, sul lungo termine, di trasformare l'informazione in esse contenute per integrarle nel nostro repertorio di comportamenti e farne uno strumento che possa trovare un più ampio spettro di applicazione.

E' questa la conclusione a cui sono pervenuti ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center sulla scorta dei risultati di una ricerca ora pubblicata sulla rivista Current Biology.

"Ciò che ci ha realmente eccitato è che dopo cent'anni di dibattiti sulla funzione dei sogni, questo studio ci dice che essi sono il modo del cervello per elaborare, integrare e realmente comprendere le nuove informazioni", spiega Robert Stickgold, che ha diretto la ricerca. "I sogni sono una chiara indicazione che il cervello che dorme sta lavorando sulle memorie su una pluralità di livelli, ivi comprese le vie che permetteranno di migliorare le prestazioni."

In particolare dall'analisi dei dati rilevati nel corso di una serie di esperimenti volti a valutare l'influenza del sonno sulle capacità di apprendimento, i ricercatori hanno osservato che il cervello che dorme sembra svolgere due distinte funzioni: mentre l'ippocampo elabora l'informazione che è rapidamente comprensibile, le aree corticali superiori tentano contemporaneamente di applicare la nuova informazione a compiti di tipo più complesso e meno concreto.

"Il nostro cervello, a livello non conscio, lavora sulle cose che ritiene particolarmente importanti. Ogni giorno ci troviamo di fronte a una tremenda quantità di informazione e di nuove esperienze. Sembrerebbe che i nostri sogni pongano la domanda: Come posso usare questa informazione per plasmare la mia vita?" (gg)

Il cervello secondo il neuroscienziato Boyden



Da un'intervista riportata dal corriere della sera del 28 Aprile 2010.

La differenza tra Ed Boyden e gli altri neuroscienziati è questa: mentre i colleghi stanno a guardare i neuroni e le loro reazioni, lui li provoca e li manipola. E’ un capovolgimento sia concettuale sia pratico che stupisce molti, tranne i colleghi che lavorano con lui nel laboratorio del Massachusetts Institute of Technology di Boston (passa sotto il nome di «Media Lab’s synthetic neurobiology group»).

E’ con intuizioni controcorrente e test rivoluzionari che ha strappato un posto tra gli scienziati «under 40» più promettenti, secondo la rivista «Discover». E sono le sue invenzioni a farlo scintillare tra gli «innovatori top» scovati da «Technology Review». Ma di sicuro dovrebbe essere inserito in un’ulteriore lista, più fantasiosa, quella dei ricercatori caleidoscopici, che utilizzano le logiche multidisciplinari da cui far decollare le idee: fisico di formazione e ingegnere elettronico per passione, lavora con una ventina di giovani che frullano biologia, matematica, computer e filosofia, avventurandosi nell’optogenetica, là dove si intrecciano ottica e genetica. Alle particelle - ha confessato - preferisce i miliardi di neuroni. Sono loro il mistero con cui avrà a che fare la scienza del XXI secolo, ha ripetuto al «Brainforum», il convegno sulle neuroscienze di Roma.

Professore, lei che idea si è fatto del cervello? Come lo definisce?
«Come un computer altamente specializzato e potente, con la capacità di processare emozioni, decisioni e anche una molteplicità di percezioni sensoriali. Tutto avviene in modo veloce ed efficiente. E’ possibile con gli “shortcuts”, le scorciatoie: succede per esempio con le illusioni ottiche, come quando si guarda una cascata e si vede un’insieme coerente, non certo le singole gocce».

Ma la concezione di questa macchina - anche per merito suo - sta ulteriormente cambiando, giusto?
«Sappiamo dagli studi condotti nell’ultimo decennio che svolge una serie di compiti in modo molto efficace, mentre è pessimo per altri, come la matematica. Un personal è veloce, l’uomo è miliardi di volte più lento. La maggior parte di noi, almeno».

Lei è diventato celebre per l’uso delle molecole fotosensibili che trasferisce nei neuroni: come funziona questa tecnica?

«Sono ricerche che abbiamo cominciato cinque anni fa, qui a Boston, insieme con un team a Stanford e un altro in Germania. Il progetto prevede l’individuazione di alcune molecole capaci di convertire la luce in segnali elettrici. E dato che il cervello funziona con impulsi elettrici, proprio come un computer, abbiamo pensato di utilizzare quelle molecole per accendere e spegnere le cellule del cervello, come un computer attiva e disattiva i suoi componenti».

Come avete ottenuto queste sostanze?

«Le molecole provengono da molte specie viventi, per esempio alghe, batteri e funghi».

E come riescono a trasformarsi in interruttori cellulari?

«Le molecole sono proteine e sono quindi codificate da geni specifici: quando li si seleziona dal Dna e li si inserisce nei neuroni, si producono le proteine stesse, quelle che convertono la luce in energia».

Quando avete trasferito la tecnica sulle cavie che cosa è successo?

«La usiamo per “accendere” e per “spegnere” diversi circuiti: per esempio allo scopo di alterare lo stato emozionale di un animale, interferendo con le aree e i sentieri cerebrali deputati a specifiche reazioni, o per modificare le funzioni sensoriali. Adesso collaboriamo con le università della Southern California e della Florida per convertire alcuni neuroni in fotocamere in grado di percepire la luce esterna. E’ una strada che si rivelerà utile per trattare la cecità».

Queste manipolazioni possono diventare un «gioco interattivo» tra voi e la cavia?

«Ci sono molti modi per inserire i geni e alcuni sono permanenti, mentre altri no. Abbiamo scelto la prima soluzione perché così gli esperimenti diventano più semplici. Si ricorre a dei virus, gli stessi sfruttati anche per gli esseri umani: oltre 600 persone sono state già trattate a scopo terapeutico con gli “Aav” - i vettori basati su virus adeno-associati - trasferendo, appunto, piccoli “pezzi” di Dna nell’organismo, che impara così a produrre le proteine necessarie. E sottolineo che non si sono registrati effetti collaterali. A questo punto è possibile la seconda fase: usare la luce, per frazioni di secondo, attivando e disattivando le cellule del cervello, creando effetti differenti».

Che tipo di effetti, anche cognitivi?
«Anche cognitivi, naturalmente. Spesso mi viene chiesto se sia possibile alterare una memoria e questa, in effetti, è una delle aree di ricerca più stimolanti. Lavoriamo con gruppi di “Ai” - quelli che si occupano di intelligenza artificiale - e un progetto di cui discutiamo è questo: se si inseriscono dati e informazioni nel cervello, allora potremo combinare l’intelligenza biologica con quella acquisita dall’esterno, creando un nuovo tipo di super-processore».

Vi concentrate su un’area «nobile» come la corteccia?
«Stiamo studiando a fondo questa area, ma l’obiettivo finale è indagare il cervello nel suo complesso, dato che lavora come un sistema emergente, come un computer».

Progettate esperimenti anche sugli esseri umani?

«Una volta che le tecniche si riveleranno perfettamente sicure ed efficaci, allora potranno essere utilizzate per sviluppare nuove terapie. Non dimentichiamo che già oggi ci sono centinaia di migliaia di persone a cui vengono applicati diversi tipi di “implants” - di protesi, cioè - come quelli uditivi nell’orecchio interno o quelli anti-Parkinson. Rappresentano la base per sviluppare sistemi di seconda generazione, più precisi e più efficaci».

Che cureranno che cosa?

«Dal Parkinson all’Alzheimer, penso. Ma anche tante altre disfunzioni neurologiche e psicologiche. Ci sono decine di team, non solo a Boston, che studiano tante possibilità».

Si apre però anche la possibilità di alterare idee e comportamenti, fino all’INTERA PERSONALITA': questo non la inquieta?
«Sono preoccupazioni comprensibili, ma è una questione che rientra in tema molto più vasto, da considerare in modo pragmatico: basta pensare alle dipendenze che si sviluppano in seguito alle sostanze farmacologiche».

Qual è il suo prossimo obiettivo?
«Sono tre, in realtà. Identificare nuove molecole con proprietà specifiche sul sistema nervoso. Creare micro-strumenti che facciano transitare le informazioni volute nel cervello. Immaginare, infine, nuove applicazioni cognitive e terapeutiche».

Chi è Ed Boyden Bioingegnere
RUOLO: E’ PROFESSORE DI SCIENZE COGNITIVE E RESPONSABILE DEL «SYNTHETIC NEUROBIOLOGY GROUP» AL MIT DI BOSTON(USA)
IL SITO DEL LABORATORIO: HTTP://EDBOYDEN.ORG/

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Questa intervista esprime una delle più aggiornate concezioni del funzionamento del cervello (apparentemente molto RIDUZIONISTA). Questo non significa, però, che non possa coesistere, con questa concezione, anche un approccio ESTERNISTA, ovvero che la "mente umana" (conscio ed inconscio) abbia dei collegamenti esterni con l'ambiente o con altri inconsci che influiscono sul comportamento generale. Tra le varie teorie esterniste c'è anche quella della mia scuola di pensiero

Alessandra