venerdì 5 marzo 2010

BIOETICA - Vita vegetativa e testamento biologico.



A volte, in seguito a un grave incidente, un uomo viene ridotto allo stato vegetale. Non si può più parlare, muoversi o comunicare in attesa della morte. Perché noi non possiamo esprimere le nostre volontà, oggi ,per quando saremo in una simile eventualità e dare indicazioni su cosa fare? Perché siamo costretti a obbedire (anche in quelle condizioni) ad una “legge” della Chiesa che ci impedisce di interrompere la vita e le sofferenze? Dicono che dopo la morte c’è una vita di felicità, allora perché a queste persone non la si può dare subito?

Maria Teresa


Cara Maria Teresa,
Innanzi tutto occorre fare chiarezza su cos’è uno stato vegetativo. Si tratta di uno stato clinico conseguente al coma o che, nella fase terminale della vita, lo può precedere.
In sintesi, la definizione internazionalmente accettata dello stato vegetativo indica una condizione clinica in cui il paziente è sveglio (cioè ha gli occhi aperti, mentre nel coma gli occhi sono sempre chiusi), ma non è cosciente (non è consapevole di sé e di sé rispetto all’ambiente: in pratica non comunica e non risponde all’ambiente circostante).
Wikipedia ne dà una definizione sostanzialmente corretta: “[…] un paziente in stato vegetativo ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell’ambiente intorno a sé, ma mantiene quelle non-cognitive e il ciclo sonno-veglia; può avere movimenti spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma non parla e non obbedisce ai comandi. I pazienti in stato vegetativo possono apparire in qualche modo normali: di tanto in tanto possono fare smorfie, ridere o piangere”. Tutto questo senza però valenza emotiva e volitiva. Un semplice e puro automatismo riflesso.

Ricordiamo che, per quanto riguarda la chiesa cattolica, La dottrina, in merito all'eutanasia, è riassunta nell'articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicata al quinto comandamento:
2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

Invece, a titolo di curiosità, ricordiamo che il Dalai Lama, in visita a Roma e intervistato sul concomitante caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, ha ribadito le sue convinzioni sull'argomento:
L'eutanasia "dovremmo evitarla, ma in casi particolari si potrebbero fare delle eccezioni". Su Eluana: "Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona non cammina più, ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti, allora è meglio tenere una persona in vita, ma si possono fare eccezioni".
Le cure vanno fermate se non vi è "la possibilità di recuperare la coscienza e le funzioni mentali". Nel buddismo, "nei casi di male incurabile c'è una pratica che consente l'abbandono della coscienza dal corpo"; negli altri casi "anche noi parliamo di suicidio".

Riportiamo, anche il parere di Umberto Veronesi (http://www.cdbchieri.it/rassegna_stampa_2009/englaro.htm):

"Il diritto di disporre della propria vita esiste. E´ sancito dall´articolo 13 sulla libertà personale e dall’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e anche dall´articolo 35 del Codice di Deontologia Medica che conferma che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.". Sappia quindi la gente che c´è un punto fermo : nessuno può violare questo diritto e c´è chi si impegna a farlo rispettare sempre e comunque nella sua sostanza. Eluana oggi non è quella delle foto. E´ una donna di quasi quarant´anni anni, senza sorriso, senza espressione negli occhi, senza vita di relazione, senza coscienza, senza controllo di un corpo, che è ormai un involucro in disfacimento. La sua vita meravigliosa si è spenta per sempre 17 anni fa.

Fatte queste premesse, veniamo al dibattito politico in Italia.
L'argomento, "eticamente sensibile", è oggetto di posizioni differenti fra correnti di pensiero di tipo laico, radicale comprese discussioni di ispirazione cristiana sull'eutanasia e di forte difesa della vita.
Per quanto riguarda l'eutanasia il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso nel dicembre 2003 con un documento, di 19 pagine, contenente un'analisi delle problematiche connesse e terminante con una serie di raccomandazioni, il cui rispetto garantisce la legittimità delle dichiarazioni anticipate. Nel documento si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni «in contraddizione col diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia (...) il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza» e che «il diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico (...) ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace»
Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica afferma inoltre che i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall'interessato, ma anche documentare per iscritto nella cartella clinica le sue azioni rispetto alle dichiarazioni anticipate, sia che vengano attuate o disattese.
Di tanto in tanto alcuni casi di morte per termine o rifiuto del trattamento medico (come quelli di Luca Coscioni e Eluana Englaro) pongono all'attenzione della politica e dell'opinione pubblica la necessità di legiferare in maniera chiara sull'argomento
In attesa di una legge che regoli la materia è in atto, in molti comuni italiani, la raccolta della dichiarazione anticipata di trattamento dei cittadini residenti nel territorio interessato. Per i promotori di queste iniziative questi atti non eludono e non anticipano le iniziative legislative, ma sono l'azione necessaria perché, in caso di bisogno, non sia necessario ricostruire, a posteriori, le volontà dell'interessato, come è successo nel caso di Eluana Englaro.

Concludo, facendo riferimento al post del BLOG "VERITA' A CONFRONTO":
http://nuoveteorie.blogspot.com/2009/04/vita-vegetativa-e-vita-umana-quando.html

La vita di una persona umana INIZIA quando, diventato FETO, il suo cervello è in grado di comunicare con altri cervelli umani, anche allo stato inconscio. Già dopo la prima comunicazione, il SUO DNA, INVARIATO DAL CONCEPIMENTO, INIZIA A MODIFICARSI, VISTO CHE SI MODIFICANO LE SINAPSI DEL CERVELLO ED INIZIA A FARE ED IMMAGAZZINARE ESPERIENZE INTERAGENDO ANCHE CON L'AMBIENTE STESSO.

LA VITA ANIMALE (compresa quella di tipo umano) DIFFERISCE DA QUELLA VEGETALE PER L'APPRENDIMENTO IN RELAZIONE ALLE ESPERIENZE (i vegetali non apprendono dalle singole esperienze allo stesso modo degli animali).

LA VITA ANIMALE ED UMANA E' VARIAZIONE INCESSANTE DELLE SINAPSI CEREBRALI E DEL DNA (E NON IMMUTABILITA' DEL DNA CHE RIMANE ANCHE IN UN ORGANO IN ATTESA DI UN TRAPIANTO).

Qui siamo nel campo delle NEUROSCIENZE: Eric Kandel ha preso il NOBEL nel 2000 proprio per aver dimostrato, con studi sulla lumaca di mare Aplysia e sui topi, che ad ogni nuova esperienza o apprendimento fatto da un individuo animale (o umano) con un cervello con neuroni e sinapsi, corrisponde una MODIFICAZIONE DELLA RETE NEURONALE E SINAPTICA (con nuove sinapsi o anche con semplici ispessimento di alcune delle sinapsi esistenti). A queste modificazioni sinaptiche, per le funzioni trascrizionali del DNA, corrisponde anche una variazione del DNA che in gran parte si tramanda anche ai discendenti (vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm).

Ovviamente, vi sono settori di variabilità del DNA che interessano le mofidicazioni della forma e delle funzioni organiche; altre modificazioni, invece, interessano proprio l'aspetto umano (carattere, fobie, intuito, complessi, archetipi, etc.). MODIFICARE INCESSANTEMENTE IL DNA SOTTO QUESTO ASPETTO (diciamo MENTALE) EQUIVALE A FARE ESPERIENZE E VIVERE UNA VITA PARAGONABILE A UNA VITA UMANA SPIRITUALE

Un caro saluto

Alessandra

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