lunedì 26 ottobre 2009

L'amore



Mi chiamo Giusy e faccio il quarto liceo scientifico. Ho letto le sue interessanti risposte su questo BLOG, e mi chiedo se l'amore è veramente solo questione di biologia e di chimica, come ho sentito dire più volte. Mi viene difficile accettare un simile riduzìonismo, che và contro tutte le mie precedenti convinzioni. Cosa mi può dire su questo argomento?

Cara Giusy,
la tua domanda mi ha fatto ricordare un bellissimo articolo del corriere della sera del 2002, in cui la giornalista Serena Zoli presentava un libro di Donatella Marazziti, psichiatra e ricercatrice. Il libro si chiama “La natura dell’amore”, che consiglio di acquistare.

“Si dice che dell’amore si è detto tutto, eppure queste sono parole nuove. Non ancora un discorso, ma frammenti, balbettii, di un inedito discorso amoroso che, se anch’esso parte da batticuore ed estasi, è per cercare gli amplessi chimici, gli impulsi elettrici, i matrimoni cellulari che li provocano. Indagine meccanicistica sull’amore, profanatorio tentativo di crocifiggere i palpiti del cuore a formule e leggi di pura materia? Ma «sembra che la materia abbia una natura psicologica»: la replica non viene da aridi scienziati riduzionisti, ma dal poeta Goethe, che già sospettò impulsi d’ordine fisico per spiegare l’ineluttabilità delle Affinità elettive . E già Cartesio aveva collocato le passioni nella ghiandola pineale, o epifisi. E, ancora più indietro, già Ippocrate, secoli prima di Cristo, sanciva: «Sappiano gli uomini che dal cervello e solo dal cervello derivano piacere, gioia, riso così come tristezza, pena» e via via fino al pensare e al sentire, i sentimenti tutti. Le citazioni "alte" sono d’obbligo onde stornare l’accusa di violata umanità per chi si avventura nelle neuroscienze a dimostrare che «il corpo è il teatro delle emozioni». Donatella Marazziti, psichiatra e ricercatrice formatasi nella prestigiosa scuola dell’Università di Pisa, si appella in apertura di libro ( La natura dell’amore) anche a un nome più recente, Sandor Màrai, il romanziere ungherese che in un passo lega l’amore a una «volontà... nell’universo» la quale tocca «gli animi e i nervi» e «le menti più lucide».
La dottoressa Marazziti chiarisce subito che per ora di certo non c’è molto. Ma c’è quanto basta per ipotizzare una rete di sottotracce che, passando per amigdala e lobi frontali, ossitocina e serotonina, ippocampo e corteccia, finiscono per delineare il «ritratto» biologico, l’interfaccia corporea, dell’amore cantato dai poeti, analizzato dagli psicologi e, modestamente, provato da tutti noi, o quasi.
«Quasi» perché tra le patologie dell’amore la psichiatra annovera (come gli psicologi, del resto) l’incapacità o la paura di innamorarsi, e qui i maggiori sospetti - oltre che su un vissuto infantile disastroso o traumatica delusione, che costituirebbero l’«interfaccia» emotiva (e psicoanalitica) - cadono su un’amigdala malfunzionante o su una scarsa fornitura di dopamina (il professor Gessa dell’Università di Cagliari, noto ricercatore, ha battezzato questa sostanza chimica «la benzina del desiderio», quella che può far scoccare la «scintilla» dell’innamoramento).
Prove? Indirette. Persone con lesioni al nucleo cerebrale dell’amigdala presentano «cecità affettiva»: caso estremo, un paziente che restò impassibile alla notizia della morte improvvisa di entrambi i genitori. E chi soffre di depressione lamenta spesso la perduta capacità di provare sentimenti: in questi malati alterato e carente è soprattutto il sistema della serotonina, la sostanza o neurotrasmettitore chimico che più influenza l'amigdala. Ripristinata con gli psicofarmaci la corretta biochimica cerebrale, sparisce la depressione e ricompare la capacità d’amare.
«E’ dalle malattie che noi medici e ricercatori scopriamo i meccanismi interni del corpo e ipotizziamo quelli della normalità», spiega Donatella Marazziti, giovane donna graziosa con lunghi capelli biondi. «Sull’amore di sicuro sappiamo che certe patologie rendono incapaci di provarlo, ma accade anche che un innamoramento scateni gravi disturbi in persone fino a quel momento sane. E’ un tale sconquasso, l’amore...», commenta con un sorriso malizioso. Di questo sentimento la studiosa, che ha grande abilità di scrittura, fluida e accattivante, scrive con grande entusiasmo. Un entusiasmo da scienziata (la scienza dice che l’amore è stato inventato dalla natura per garantire la continuità della specie), ma ben colorato da una sensibilità di donna («l’amore è, può essere la più grande, e più rigenerante, gioia della vita»).
Quanto all’innamoramento che può scatenare - anche quando pienamente ricambiato! - disturbi ossessivo-compulsivo, depressivo e altri ancora, la spiegazione, già ipotizzata da Michael Liebowitz nel suo La chimica dell’amore nel 1983, sarebbe questa: l’innamoramento libera di colpo nel cervello un «diluvio» di sostanze simili all’anfetamina. Se quel cervello di quella persona ha una predisposizione a una certa malattia, le strutture già vulnerabili non reggono all’urto di quell’inondazione («anche se gioiosa, è comunque uno stress») ed ecco scatenarsi il disturbo fino allora latente.
Per indirizzarsi verso lo studio biologico dell’amore, che sta continuando in laboratorio («a settimane avrò la risposta se più alti livelli di ossitocina, un peptìde, garantiscono maggior durata della relazione affettiva»), la dottoressa Marazziti è partita da una constatazione di cui arrivò notizia sui giornali e a Quark : «Da innamorati, siamo invasi dal pensiero ossessivo dell’altro, allora mi sono chiesta se a livello biochimico si riscontrino somiglianze con quanti soffrono di disturbo ossessivo. Ho analizzato un certo numero di volontari (studenti, naturalmente) appena innamoratisi e un ugual numero di malati, e ho riscontrato nei due gruppi una analoga riduzione del sistema serotoninergico. Allora, perché non inseguire i possibili meccanismi della normalità in altre aree cerebrali?».
Ma a che scopo? Trovare farmaci per curare l’amore o anche veri filtri per fare innamorare? Oppure, come diranno altri, per spoetizzare il cuore e il sogno e ridurre l’uomo a una macchina? «No, no, come si può togliere poesia al sentimento più bello?», ride la Marazziti. Che, tornando scienziata, aggiunge: «Si pensi a Galileo: il suo cannocchiale, e successivamente i telescopi, hanno forse distrutto l’incanto del cielo stellato? O lo sbarco degli astronauti il fascino misterioso della Luna? No, spiegare la natura non significa diminuire l’uomo, ma permettergli di vivere meglio. Nel caso dell’amore, se arriviamo a capirne la vera realtà biologica, potremo liberarci dalle incrostazioni e deformazioni imposte dalla cultura e dalla società e viverlo nella sua pienezza originaria, prepotentemente naturale e umanissimo».”

Un caro saluto
Alessandra

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